La fattoria dei nostri sogni è un documentario autobiografico (girato nel corso di otto anni) e nello stesso tempo una narrazione che appassiona, perché sa farci vivere emotivamente, dall’inizio alla fine, l’avventura dei due protagonisti. Il documentario è disponibile in streaming su PrimeVideo.
La fattoria dei nostri sogni la trama
John e Molly Chester, lui cameraman di paesaggi naturali, lei chef salutista, lasciano la città per trasformarsi in contadini e allevatori, senza esperienza alcuna, ma con un’ incrollabile certezza: daranno vita ad una fattoria in cui animali e piante verranno rispettati nei loro ritmi e nella loro specificità. Rilevano un terreno a cento chilometri da Los Angeles, aridissimo, e scommettono con incredibile forza di volontà. Duecento acri. Forse perché noi non sappiamo misurarli, sembrano davvero tanti nelle riprese aeree, dello stesso John Chester.
La fattoria dei nostri sogni: ogni dettaglio ha il suo fascino
Giustificano il titolo originale, The Biggest Little Farm, che gioca con l’idea delle vaste dimensioni da una parte e di quelle piccole dall’altra. In alcuni momenti, infatti, vengono inquadrati da vicino fiori piante animali, a caricare di fascino e significato il dettaglio, anch’esso funzionale all’armonia dell’ambiente. Bellissime immagini in cui non si ammira il virtuosismo della fotografia, bensì quello della natura stessa che sa regalarci piccoli grandi spettacoli.
Il progetto dei Chester piace e vedrà la partecipazione di alcuni coraggiosi finanziatori (i soldi del primo anno, però, ahinoi, finiscono già nei primi sei mesi), e di molti giovani volontari. È impressionante come la natura sia insieme sfida e gratificazione nella quotidianità di cittadini che la maneggiano per la prima volta. Ma anche per noi spettatori che partecipiamo a questa impresa vecchia come il mondo, vista con occhi completamente nuovi. Certo, da soli, non ce l’avrebbero fatta. Il loro mentore è Alan York, esperto di ecologia e biodiversità. Insegna loro molti segreti della natura, ma quando Alan muore, devono farcela da soli. Gli incidenti di percorso sono sconfortanti, dalle lumache che mangiano tutte le foglie degli alberi, agli uccelli che ne gustano i frutti, rovinando sistematicamente il raccolto delle pesche. Peggio di ogni cosa, le incursioni dei coyote, che imperversano quasi azzerando il numero delle galline. Qualche successo fortuito e il ricordo delle lezioni di Alan conducono John e Molly a intuire che la natura va ascoltata se se ne vogliono svelare i misteri. Rispettandola, si possono tentare soluzioni creative, trovare esiti positivi, accedere alla sua indecifrabilità. Senza retorica, ci viene spiegato che al suo interno si trovano le risposte, se non ci si perde d’animo ai primi fallimenti.
Un cantico alla Natura
Il risultato è un cantico alla Natura che convince più di qualsiasi trattato ecologista, soprattutto se confrontiamo Apricot Lane (questo il nome della tenuta) con le monoculture circostanti. È un messaggio forte di sostenibilità che riguarda la terra coltivata biologicamente. Ma anche una testimonianza su come affrontare gli inconvenienti della vita, riprendendosi dai fallimenti e perseguendo un progetto totalizzante, quando si crede nel suo valore. Un esempio poi del giusto approccio al mondo che ci circonda: di ascolto e attenzione, umiltà e coraggio, perseveranza, disponibilità d’animo nell’accogliere la seduzione della natura e della vita tutta.
Chissà se Molly e John, otto anni fa, pur credendoci, all’inizio della loro avventura, e alle contemporanee riprese filmiche, immaginavano un esito così felice! Il documentario che rappresenta la realizzazione dei loro desideri sicuramente è ben riuscito: mai una sbavatura, né un compiacimento narcisistico, né una rappresentazione edulcorata.
Per il pubblico, un’ora e mezza di sana fuga dalla città.
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