Frontiera, il cortometraggio di Alessandro Di Gregorio, presentato in prima mondiale alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 75, è il vincitore del premio come miglior cortometraggio ai David di Donatello 2019. Disponibile sulla piattaforma RaiPlay, scritto da Ezio Abbate già Nastro d’argento al miglior soggetto per Banat – il viaggio, Frontiera racconta l’incontro tra Fiorenzo Madonna che interpreta il giovane alla prima esperienza come sommozzatore e Bruno Orlando, nei panni di un adolescente a lavoro come necroforo. Il regista descrive una frontiera molto differente: l’Italia vista come confine dai profughi che ogni giorno si imbarcano in un viaggio tra la vita e la morte, tra la speranza in un futuro migliore e la paura di non riuscire a toccare terra. Di Gregorio, classe ‘74, si qualifica come sceneggiatore in primis e poi come regista. Il suo primo documentario, 8744, acquistato nel 2006 da History Channel andava a rispolverare una faccenda della seconda guerra mondiale legata agli IMI (Internati militari italiani), costretti ai lavori forzati nelle città tedesche in seguito alla guerra.
Frontiera racconta la triste tragedia che in questi anni rimane di estrema attualità. La Frontiera di cui si parla è infatti Lampedusa, e le spiacevoli vicende che vi accadono a causa della migrazione clandestina. Tutto questo però lo viviamo insieme a due giovani ragazzi italiani che per motivi diversi si trovano lì e sono accomunati dallo stesso sentimento. Uno è un necroforo, al suo primo giorno di esperienza, e l’altro un sommozzatore, che per la prima volta si immerge nelle acque del Mediterraneo per recuperare dal mare i corpi dei poveri sventurati che ne sono stati risucchiati.
Il regista decide di procedere mostrandoci le reazioni, le sensazioni di questi ragazzi che in queste circostanze, per la prima volta, assaggiano l’amaro della vita e grazie a questo perdono la propria innocenza. Il mare è l’altro grande protagonista della vicenda che appare come un carnefice, un antagonista, che estremamente piatto e placido vorrebbe attirarci a lui, ma allo stesso tempo in questa sua calma sembra nascondere un terribile fascino inquieto. Di Gregorio dimostra una regia rispettosa ed educata scegliendo per questo di delegare tutto alle immagini, non lasciando posto alla parola perché tutto è già contenuto nei frammenti di pellicola. L’andamento filmico privilegia così colori e suoni che diventano talmente preponderanti nella visione, da farsi quasi parole con tutta la pesantezza di ciò che mostrano. I colori dell’isola di Lampedusa entrano così in contrasto con la freddezza del mare che cela orribili morti e il fischio del vento diventa un grido disperato.
Frontiera si assume la responsabilità di raccontare il dramma dei migranti che il nostro paese vive ormai da molti anni. I ragazzi protagonisti vivono la circostanza in modi diversi e nonostante tutta quella morte e quella sofferenza, scelgono la vita. Quando sbarcano sull’isola le loro vite prendono strade diverse, poi si riavvicinano e alla fine cambieranno per sempre. Totalmente inermi dinanzi alla situazione, ligi al dovere che sono chiamati a svolgere, troveranno la forza attraverso processi brutalmente meccanici, a contatto con corpi umani rimasti o da recuperare. La speranza di un vita ancora da salvare: mentre un italiano seppellisce i corpi dei naufraghi, l’altro ne recupera degli altri lungo una linea di frontiera che il panorama geografico non conosce. Di Gregorio dirige con naturalezza la macchina da presa mostrando al pubblico l’assenza di una linea di confine e ciò nonostante svela come quella Frontiera sia una condizione presenta da affrontare e superare.
Il messaggio finale è arricchito da immagini di un reportage sulla strage di Lampedusa del 2013, la ricostruzione di una sorta di cimitero marino. Alessandro Di Gregorio, successivamente alla vittoria del David, ha dichiarato come: “Le frontiere geografiche sono solo immagini disegnate dagli uomini sulle cartine. Il vero problema sono quelle mentali che stanno cercando di innalzare tra di noi, tra gli esseri umani. E sono queste che bisogna abbattere.” Il regista rimarca l’accento su quanto siamo abituati a pensare la frontiera come confine delimitato, marcato, scritto. Di Gregorio allora fa guardare i suoi personaggi verso il mare e da quelle semisoggettive comprendiamo quanto tutto è fittizio, finto e convenzionale. Il confine non c’è, non si vede è solo una condizione interiore è lo sguardo che ne determina il vero limite: spetta a noi fissarlo.
Alessia Ronge