Può una donna assumere il ruolo di leader politico al pari del Che Guevara, e cercare la giustizia e il riscatto sociale, in primis per le donne, ‘senza perdere la tenerezza’ (come recita il titolo di una bellissima biografia del Che)? La risposta è sì, naturalmente, come già accaduto in passato, ma non è cosa facile. Ci sono molti modi di fare la rivoluzione e le donne, nella storia, hanno spesso preferito, un po’ per scelta un po’ per mancanza di alternative, le trasformazioni pacifiche, culturali, indipendenti. Hanno deciso cioè di ‘essere’ loro stesse delle rivoluzionarie e di identificarsi con l’idea di ‘Rivoluzione’ – qualunque essa fosse – perché ‘fare’ la rivoluzione sembra un’attività non abbastanza coinvolgente, che non modifica per primi se stessi, e le donne da sempre, quando scelgono la prima linea, passano attraverso ogni cellula del proprio essere.
Così, nell’ispirato documentario I Am The Revolution, della giornalista e regista Benedetta Argentieri (ora residente a New York, ha lavorato in Italia per il Corriere della Sera e Mediaset), lei stessa impegnata nella rivoluzione volta ad emancipare le donne dagli stereotipi, siano essi di genere (le donne non sanno o non possono fare certe cose) o specifici dei mezzi di comunicazione (le donne viste sempre come ‘vittime’), vengono presentate tre donne leader di movimenti completamente diversi fra loro, ma accomunate da alcuni elementi portanti: vivere e comandare in Paesi devastati dalla guerra e dal fondamentalismo, come Iraq, Siria e Afghanistan, anteponendo la libertà per sé e per le altre donne alla propria stessa vita, con determinazione e coraggio, ma rimando umane.
“Ho lavorato dal 2014 in alcune fra le peggiori zone di guerra del mondo moderno – racconta la regista – tra cui Baghdad, in Iraq e Rejova, in Siria, incontrando donne con storie incredibili che stavano lottando per i loro diritti nonostante il contesto incredibilmente difficile. Mi sono unita alle donne guerrigliere che combattevano il cosiddetto Stato islamico (ISIS), ho raccontato ad un pubblico internazionale l’esperienza delle donne che aiutano gli altri a ricominciare a vivere dopo aver subito violenze spaventose ed aver rifiutato di delegare il proprio futuro agli uomini. Ho visto i cambiamenti a Rojava, in Siria, dove ora le donne hanno un ruolo nella società, e ho scoperto che anche l’Iraq e l’Afghanistan stavano lentamente seguendo un percorso simile.”
Il documentario I Am The Revolution racconta pertanto una storia che pochi conoscono, e lo fa per bocca delle stesse testimoni che narrano parti di sé che ci colpiscono e coinvolgono, lasciando allo spettatore lo stupore e l’ammirazione per come tre donne abbiano preso su di sé il carico di una rivoluzione ‘necessaria’, rivolta a tre diverse cause, abbracciate per scelta e con dedizione, rischiando oggi tutte e tre la vita contro poteri maschilisti e spietati.
La prima, Rojda Felat, è divenuta nel giro di pochi anni comandante in capo delle Forze Siriane Democratiche, un’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache sostenute dagli USA, costituitasi nell’ottobre 2015, durante la guerra civile siriana, che ha sconfitto l’ISIS nel Nord della Siria: Roja comanda 60mila uomini e donne armati, applicando una parità di ruoli e diritti inimmaginabile in altri eserciti.
La seconda ‘rivoluzionaria’ è Yanar Mohamed, un’attivista irachena, co-fondatrice e direttrice dell’Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq – che si occupa di protezione, emancipazione e istruzione della donna – ed aiuta le donne in fuga dalla tratta, da violenze familiari e dalla prostituzione: la sua attività, illegale in patria, è riconosciuta dall’Onu. Infine, la terza donna raccontata nel documentario, è
Selay Ghaffar, costretta fin da piccola a vivere da rifugiata, oggi portavoce del partito della Solidarietà dell’Afghanistan, unico partito laico e progressista del Paese e l’unico con una leader donna: lo scopo della sua esistenza è quello di combattere la violenza contro le donne e di educarle a lottare per la loro indipendenza.
“La lotta per l’uguaglianza di genere – continua Benedetta – sembra avere un impatto sulla società che non avrei potuto immaginare. Ma i media mainstream hanno continuato a riportare sempre la stessa narrativa obsoleta, che vede le donne come vittime indifese. Questo documentario è nato dal mio bisogno di sfidare questa idea e di mostrare come le donne, in queste aree e nel mondo intero, non sono più solo vittime ma sono in prima linea per cercare di ricostruire i loro paesi devastati da decenni di guerra, di educare le altre donne sui propri diritti e sul senso della democrazia. Questa è davvero una rivoluzione come lo sono le centinaia di donne pronte a sollevarsi e lottare per i propri diritti”.
Dopo i documentari Gezi Park e Our War (co-diretto con Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia e presentato nel 2016 Fuori Concorso alla 73esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia), Benedetta Argentieri, con I Am The Revolution, conferma il suo talento di autrice e documentarista, riportando le donne ‘in prima pagina’, in quei luoghi negletti, dove la lotta per i diritti delle donne, sostenuta in Occidente negli anni Settanta e troppo spesso oggi dimenticata, è una realtà viva e pulsante, che mette in gioco la libertà e la vita stessa in nome di ideali più alti. Il film, già presentato in diverse città d’Italia attraverso la piattaforma MovieDay, sarà proiettato oggi al BIFF – ‘Barrio’s Impact Film Festival’ di Milano, alle ore 21.00,