Too Old To Die Young: la serie Amazon Prime creata da Nicolas Winding Refn
L’ultima, rivoluzionaria fatica del regista danese (qui affiancato dal fumettista Ed Brubaker) stravolge l’idea di serialità trasportando, senza confini ne paletti, l’intero immaginario del suo autore in un prodotto inclassificabile, estenuante e suggestivo, mentre, in una guerra tra vendicatori, poliziotti corrotti e narcos messicani si consuma l’ennesima Apocalisse
Occhi mangiati, teschi, sangue, pistole. E ancora: tarocchi, luci al neon, coltelli, spade giapponesi. Il tutto contaminato da sprazzi del cinema di Friedkin, Jodorowsky, Anger, Lynch. Si potrebbe andare avanti all’infinito a fare elenchi di immagini o suggestioni ricorrenti presenti nella prima serie firmata Nicolas Winding Refn. D’altronde, da Too Old To Die Young, “film da 13 ore” capace di condensare in sé tutte le influenze e le ossessioni del suo autore, non ci si potrebbe aspettare altro, tanto meno l’ennesima serie tradizionale. Perché, in quel flusso continuo di immagini e situazioni dilatate all’inverosimile e ripetute allo sfinimento – un loop che ricorda più le installazioni da videoarte che un prodotto narrativo – c’è l’essenza stessa di una non-serie che della serialità (ma anche del cinema) ha dimenticato consapevolmente e platealmente ritmo e struttura, irridendone le logiche di fruizione, il respiro e il senso.
Cos’è allora Too Old To Die Young? Se si ascoltano i detrattori, il trionfo narcisistico di un autore da sempre chiuso nel suo immaginario e nella sua estetica derivativa e brutale. Per tutti gli altri (perché con Refn non esistono vie di mezzo), il vertice della sua produzione, il punto di arrivo di una poetica capace di travalicare generi, supporti e confini. Quello che è certo, al di là dei gusti personali, è che nei dieci episodi che si susseguono, solenni e soporiferi, sul piccolo schermo, c’è tutto l’immaginario del regista di Solo Dio perdona, tutti i suoi tic e temi ricorrenti, ma, soprattutto, c’è una solida e ben chiara idea di cinema e, per riflesso, del mondo. Un mondo che non può che essere agli sgoccioli, quello raccontato dalla serie di Refn, finestra su un’Apocalisse che è prima di tutto scontro di civiltà: quella statunitense e occidentale, ormai decadente e degenerata, e quella messicana dei cartelli della droga, brutale, spietata e ferina.
È proprio qui, tra apatici e corrotti agenti di polizia e sacerdotesse della morte pronte a mietere nuove vittime, nella più classica e tremenda opposizione tra Natura e Cultura, che si gioca la fine di un Paese e di un mondo dominati dall’orrore, dalla violenza e dall’ignoranza, tutti temi cari a un regista che qui porta il conflitto a una dimensione mai così astratta e contemplativa, tra immagini pittoriche, estenuanti piani-sequenza e personaggi grotteschi e bidimensionali per cui è impossibile provare empatia, specchio di un prodotto distante e respingente che è puro trionfo estetico, pura esaltazione dell’atto voyeuristico del guardare. Prendere o lasciare.