Joanne (Rachel Shenton) è un’insegnante a domicilio, chiamata per istruire la piccola Libby (Maisie Sly), quest’ultima sordomuta e per la famiglia con evidenti problemi di apprendimento. The silent child (2017), per la regia di Chris Overton, Oscar al miglior cortometraggio nel 2018, non è solo la storia di una bambina isolata dal mondo, ma una denuncia sociale al sistema scolastico e allo scarso supporto di chi è affetto da queste patologie. Il cupo paesaggio inglese avvolto da pioggia e nebbia apre il corto mostrandoci la frenesia di una famiglia che pensa ai propri interessi: esami, appuntamenti e impegni di lavoro. Al caos familiare, la soggettiva, in cui lo spettatore guarda attraverso gli occhi di Libby, interrompe un sovrapporsi di discorsi, che tiene la sua famiglia durante la colazione, e con un campo medio viene filmato un continuo gesticolare che rappresenta un mondo diverso da quello di Libby. Lei sa leggere il labiale di chi sta di fronte ed è aiutata dall’insegnante Joanne a interagire ancora di più, a esprimere le proprie emozioni e parlare gesticolando grazie alla lingua dei segni. Il linguaggio per sua natura, non è solo parlato, ma avviene anche attraverso dei semplici gesti, quei gesti che vengono suggeriti da Joanne a Sue, la madre di Libby, per coinvolgere la propria figlia in famiglia, ma gli impegni sono tanti, così quest’ultima snobba l’insegnante.
La telefonata in cui Sue afferma che la figlia “sta imparando un linguaggio che nessuno a scuola conosce”, preannuncia la scelta dei genitori di comunicare a Joanne l’interruzione dell’apprendimento della comunicazione attraverso i gesti e di tentare un approccio con la logopedista “perché secondo loro la cura è quella”. Joanne e Libby non si incontrano più, non giocano più e quel susseguirsi di sequenze viste a metà corto sono le uniche che fanno trasparire l’allegria e l’armonia creatasi fra di loro. A Joanne non resta che recarsi direttamente a scuola, ma i cancelli sono chiusi e solo durante la ricreazione, due sguardi si rincontrano sfociando in un “ti voglio bene” espresso a gesti. Resta impresso il primissimo piano delle sbarre del cancello, limiti di un universo parallelo, fatto di emozioni, sogni e racconti mai detti, da cui Libby non può scappare. La ripresa dall’alto finale, quella di un alfabeto che copre la parte centrale dello schermo, resta un non detto che lascia spazio a tanti perché, dichiarati dal regista nelle battute finali riportate di seguito.
Il 90% dei bambini non udenti nasce da genitori udenti. Più del 78% dei bambini non udenti frequenta scuole che non ricorrono a specialisti. La sordità non è una difficoltà d’apprendimento. Con il giusto supporto, un bambino non udente può avere le stesse opportunità di un bambino udente. Speriamo che questo film contribuisca alla lotta per il riconoscimento della lingua dei segni in tutte le scuole del mondo.
Anthony De Rosa