La carne, un film del 1991 diretto da Marco Ferreri. È stato presentato in concorso al 44º Festival di Cannes. Con Sergio Castellitto, Francesca Dellera, Philippe Léotard. Inizialmente Marco Ferreri aveva pensato, per il ruolo del protagonista, a Paolo Villaggio, che però, essendo sotto contratto con Vittorio Cecchi Gori, fu costretto a rifiutare. Il titolo “La carne” fu suggerito a Marco Ferreri da Ciro Ippolito, che inizialmente doveva produrre il film. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Marco Ferreri, Liliana Betti, Massimo Bucchi e Paolo Costella. Fotografia di Ennio Guarnieri e montaggio di Ruggero Mastroianni. Nel corso del film viene riprodotta diverse volte la parte di chitarra flamenca, eseguita da Steve Howe, della canzone Innuendo dei Queen.
Sinossi
Paolo è un impiegato comunale e la sera suona in un piano bar. Una sera, nel locale, conosce la bella e provocante Francesca: è amore a prima vista. I due si rifugiano nella casetta di Paolo sul litorale romano dove, riempito il frigo di viveri, i due trascorrono le loro giornate passando da un amplesso all’altro. Quando Francesca annuncia la sua partenza Paolo la uccide, la seziona e la conserva in frigorifero per cibarsene.
Ne La carne possiamo trovare tutti i temi che hanno caratterizzato la filmografia di Marco Ferreri. C’è l’ossessione per il rapporto tra cibo e sesso già presente ne La grande abbuffata, la fuga dal mondo civilizzato (Dillinger è morto), la maternità (Il futuro è donna) ma, anche e soprattutto, il tema universale della morte che aleggia in parti minori o maggiori in tutti i suoi film. Come sempre il regista tratta i suoi temi in modo straordinariamente grottesco, amplificando le manie dei personaggi e le situazioni in cui si trovano. Il tutto sembra poi immerso in un contesto ambientale totalmente irreale e post-moderno (con tutto quel rosso dominante), fatto di ambienti che esistono solo in funzione dei personaggi, luoghi che prendono vita grazie ai protagonisti.
Nel film il connubio cibo/sesso viene sviluppato ancora di più che ne La grande abbuffata, concentrando su di esso tutta la messa in scena. I due protagonisti divorano il cibo e se stessi, sapendo che prima o poi la fine arriverà, tragica e carnivora. Ferreri è un regista antropologo. Mangiare, conservarsi, riprodursi sono i bisogni fondamentali del corpo; mangiare significa vivere; mangiare significa introdurre cibo-vita nel corpo. Per analogia l’uomo introduce metaforicamente dentro di sè tutto ciò che egli identifica come buono per la sua vita.
La femmina, vittima corporale, è l’eterna vincente morale ed è l’ape regina (manco a dirlo, Una storia moderna – L’ape regina, 1963), che nel regno animale e umano regola gli ingressi nella vita. Il simbolismo è ricco ed espressivo. Il film è rimasto sottovalutato: lo spettatore si distrae facilmente per via dell’eros tracimante, dimenticando che esso, nella sua pur immaterialità, è il motore della nostra vita materiale. Sceneggiatura perfetta per un soggetto quanto mai difficile da trasporre sullo schermo. Francesca Dellera, cornucopia straripante di sesso e carne, è pronta ad essere sacrificata sull’altare del maschilismo, rappresentato dal sempre bravo Sergio Castellitto, che impersona il maschio immaturo, figlio mai cresciuto di una cultura cattolica bigotta e mammista. Ma Ferreri si mostra indulgente verso questo maschio, quasi a significare che egli è lo strumento più debole di cui madre natura si serve per raggiungere il suo scopo di perpetuare la specie. Ferreri fa un sunto del suo cinema. Quello che però rende questo film qualcosa di più di un risaputo catalogo di ossessioni ferreriane è la componente cristiana: per Paolo mangiare una parte del generoso corpo di Francesca equivale a un’Eucarestia. Paolo indentifica nella carne di Francesca qualcosa di divino: è l’unico Dio che è in grado di riconoscere.