A come Amarcord: tutto Stranger Things è un meraviglioso coloratissimo Amarcord, pienamente inteso come “ricordo, nostalgica rievocazione del passato” come definisce il termine la Treccani. E proprio in questo sta il potenziale emotivo della serie, nel saper scegliere con intelligenza ma anche con passione gli oggetti, l’atmosfera, le emozioni di un’epoca che racchiude un senso.
B come Biciclette: sono i mezzi di locomozione preferito – nonché l’unico possibile – dei giovanissimi protagonisti. Certo niente di nuovo sotto il sole (come buona parte di tutte le cose presenti), ma di sicuro utilizzate al meglio del loro potenziale e significato, simbolo di libertà, indipendenza, corse col vento tra i capelli, motivo per cui da sempre hanno solleticato l’immaginazione dei grandi autori, così come del loro pubblico, ma qui rimandando direttamente alla Silver del capolavoro kinghiano, It.
C come Cose Preziose: per chi se lo fosse chiesto, il logo di Stranger Things, e più precisamente il font utilizzato, è così bello e vincente perché probabilmente richiama uno dei romanzi più belli della fine della prima fase di Stephen King, ovvero Cose Preziose.
D come Dark: Dark è venuto immediatamente dopo Stranger Things, e lo richiama in molti passaggi anche se poi, specie nella sua seconda stagione, se ne distanzia nettamente. È presente qui insieme a Lost perché in qualche modo questi tre serial hanno ricodificato la grammatica seriale televisiva, imponendosi dalla tv (che prima della creazione più famosa di J.J.Abrams era vista come uno strumento in pratica solo offensivo) e dilagando in tutti gli altri media, creando un vero e proprio culto anche al di fuori dell’oggetto stesso.
E come E.T.: insieme a King, è l’opera che più ha influenzato il mood del telefilm. Anche qui biciclette, anche qui bambini in fuga dai problemi dei grandi, anche qui soluzioni che si trovano solo frugando dentro al proprio cuore, con un rito di passaggio dall’adolescenza al’età adulta ma cercando strenuamente di non perdere la cosa più preziosa, l’innocenza.
F come famiglia, fratelli Duffer: la famiglia è presente nella storia, ed è fondamentale per la trama. Ma è anche presente nell’atto creativo, perché Matt e Ross Duffer sono due gemelli laureati in produzione cinematografica che dopo essersi fatti le ossa sceneggiando i primi quattro episodi del sottovalutato Wayward Pines, hanno fatto il loro primo centro (e che centro!) proprio con Stranger Things.
G come gioiello: ST è un gioiello. Di scrittura (brillante nel suo essere seminale, geniale nel suo essere semplice), di recitazione (ma con i bambini è facile che accada), di regia (accurata e accorata, mai leziosa ma sempre ironica e precisa).
I come It: già citato qui ma anche altrove, It è semplicemente uno dei più importanti romanzi del Novecento. Perché è difficile – e solo i grandi autori con i grandi libri possono e sanno farlo – creare l’atmosfera giusta per trasportare il lettore in quella latitudine geografica ed emotiva dove la verità del mondo letterario si sente in maniera tanto intensa quanto realistica: un prodigio, che Stephen King fa da quarant’anni e che alcuni critici da salotto buono fanno finta di non vedere. It è una meravigliosa, straordinaria, spaventosa indagine sul Male quotidiano e sul dolore del tempo che passa, capace di soffermarsi su quei dettagli della vita che ti sbattono in faccia il senso profondo della tua stessa esistenza riportandoti nei luoghi della tua infanzia. Uno scrittore, probabilmente il Dickens del Ventesimo Secolo, da non sottovalutare MAI.
L come Lost: con Dark e Stranger Thinghs, il serial capace di dire su di noi e la nostra attualità quello che tanta altra arte non riesce con molti più sforzi. Stranger things, Lost e Dark sono narrativamente ed emotivamente costruiti sul significato che lega passato, presente e futuro, triangolando il senso di smarrimento che è tema fondante e fondamentale del Nuovo Millennio, intrappolato tra un tempo glorioso ormai andato e un futuro che a tratti sembra già scritto da un oggi che non soddisfa pienamente. Lo smarrimento sensoriale.
M come Mike: citiamo Mike, ma poteva essere Joyce, o Jim, o Dustin, insomma uno qualunque dei personaggi della storia. Perché tra i tanti pregi c’è anche quello di una perfettamente bilanciata coralità, che spinge a tifare indistintamente per ognuno di loro e appassionarsi a tutte le trame e sottotrame portate avanti.
N come Netflix: la grande N rossa, la piattaforma che ha sbloccato e rinnovato dalle fondamenta un sistema produttivo -cinematografico e televisivo- intasato e al collasso. Senza di lei probabilmente non avremmo mai avuto House Of Cards, Orange Is The New Black e ovviamente Stranger Things. L’arte sarebbe stata più povera: e la nostra vita sarebbe stata molto più triste.
O come Ottanta: è il periodo di riferimento, un decennio flagellato dall’edonismo reaganiano che sta vivendo oggi la piena maturità di rivalutazione, iniziata qualche tempo fa e arrivata, proprio con Stranger Things, allo sdoganamento definitivo. Certo, il ricordo è sempre un po’ più rosa: ma gli anni Ottanta erano anche questo.
P come Pop: chi dice che il pop è il male? La cultura pop(olare) è l’insieme di tradizioni, saperi, idee, usanze e altri aspetti anche religiosi che rientrano nelle tendenze dominanti della comunità in cui vive il villaggio globale. Trovarne i paradigmi e i simboli non è cosa da poco e neanche inutile. Il pop siamo noi.
R come Ryder, Winona: stella luminosissima negli anni 90, ha avuto un triste e immeritato declino per vicende di gossip spiccio, ma proprio con ST ha avuto una sua giusta rivalutazione. Non recupero, si badi bene: Winona è bella e brava, e pur se sopra le righe la sua recitazione è efficace come poche altre.
S come Sotto Sopra: nell’immaginaria città di Hawkins, alcuni eventi misteriosi sembrano legati alla sparizione di un bambino (i suoi amici e sua madre faranno di tutto per ritrovarlo, convinti che non sia morto) e all’apparizione di una bambina dai capelli rasati dotata di poteri psichici e fuggita da un’installazione governativa. In realtà tutto ruota intorno all’intersezione del nostro mondo con il Sottosopra, sorta di dimensione alternativa dove prospera una forma di vita non umana ma fortemente aggressiva, e dove vivono i Demogorgoni e i Democani, mostri che infestano Hawkins. Nella terza stagione di Stranger Things, l’estate del 1985 sembra tranquilla per tutti i suoi protagonisti che stanno per entrare nel mondo degli adulti. Ma oltre ai tremori del Sottosopra arrivano anche i Russi….
T come Televisione: lode allo schermo catodico. Dove altro si sarebbe potuto vedere un prodotto come Stranger Things (o anche Twin Peaks, o Too Old To Die Young)? E proprio come il Sottosopra, la serialità televisiva ha invaso gli schermi del cinema e il nostro immaginario…
U come Undici: la bambina protagonista, uno straordinario caso di Girl Power sincero e sentito, forse l’unico personaggio che, contraddicendo in parte quello che dicevamo sopra, più di tutti gli altri sa incarnare il senso di Stranger Things.
V come Vintage: il recupero vintage è parte integrante dell’amarcord, anzi ne è il necessario prosieguo. Un rifiorire di situazioni, abbigliamenti improbabili e miti dell’epoca ne sono il naturale riflesso.
Z come Zerocalcare o Zac Efron: Si, anche Zerocalcare non è rimasto immune al fascino di Stranger Things. Mentre Zac Efron sembra solo il sosia dell’attore che impersona Dacre Montgomery (Billy Hargrove), new entry della seconda stagione, e che alcuni indicano come il padre della superstar….. la somiglianza c’è!