Film da Vedere

I vitelloni di Federico Fellini

La terza opera di Fellini (la seconda senza collaborazioni) è già un capolavoro che si presenta sincero e senza sbavature. I vitelloni scruta da vicino una realtà provinciale, quella di Rimini e dei suoi abitanti, delle spiagge stracolme e degli affollati locali sul mare, delle bizzarre feste di carnevale e delle serate tra amici. Leone d’Argento al Festival di Venezia

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I vitelloni, un film del 1953 diretto da Federico Fellini. Il film è incentrato sulle vicende di un gruppo di cinque giovani: l’intellettuale Leopoldo, il donnaiolo Fausto, il maturo Moraldo, l’infantile Alberto e l’inguaribile giocatore Riccardo. La trama del film, scritta inizialmente da Ennio Flaiano, era stata concepita per essere situata a Pescara. Fellini decise invece di ambientare il film a Rimini, sua città natale, anch’essa una città costiera sul Mare Adriatico. Tuttavia le riprese si svolsero tra Firenze, Viterbo, Ostia e Roma. Il personaggio di Riccardo è interpretato da Riccardo Fellini, fratello del regista. La voce di Fausto, interpretato da Franco Fabrizi, è doppiata da Nino Manfredi. Nell’ultima scena del film la battuta di Moraldo che saluta Guido dal treno è doppiata da Federico Fellini stesso per rimarcare l’elemento autobiografico della sua partenza dalla città natale. Fu il primo film di Fellini distribuito all’estero. Campione di incassi in Argentina, il film andò bene in Francia e Gran Bretagna; uscì negli Stati Uniti nel Novembre 1956. La sceneggiatura, scritta da Fellini, Flaiano e Tullio Pinelli, è stata candidata agli Oscar del 1958. Il film fu presentato nella selezione ufficiale della 14ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in cui il film vinse il Leone d’Argento. I vitelloni si aggiudicò anche tre Nastri d’Argento (Miglior regia, Migliore attore non protagonista -Alberto Sordi -, Miglior produttore). Con Franco Interlenghi, Alberto Sordi, Franco Fabrizi, Leopoldo Trieste, Riccardo Fellini, Eleonora Ruffo, Carlo Romano, Paola Borboni, Enrico Viarisio, Lída Baarová.

Sinossi
Fausto, Riccardo, Alberto, Leopoldo e Moraldo, figli della piccola borghesia, sprecano la loro gioventù nell’ozio più completo e nel vagheggiare sogni irrealizzabili. Fausto tradisce la giovane moglie, Leopoldo ha velleità letterarie e Alberto non sa far altro che piangere alla notizia che sua sorella è scappata di casa. Alla fine solo Moraldo riuscirà ad andarsene.

“Fellini, come al solito, si colloca decisamente al centro dei sentimenti, e perciò dei personaggi; (…) egli esprime il sentimento del vegetare, dell’inerzia, del rischioso e sonnolento svanire della gioventù”. (Brunello Rondi, “Cinema e realtà”, 1957).

“Forse Fellini non ha saputo o voluto domandarsi se i vitelloni cresciuti negli anni del dopoguerra non fossero i figli di altri vitelloni, anche più malinconici e interiormente fragili, se l’inconcludenza di una certa parte delle generazioni maturate in quel periodo non provenisse dall’aridità e povertà del terreno sul quale queste generazioni erano cresciute. E’ una domanda alla quale, a quei tempi, si era risposto ormai fin troppo esaurientemente, e forse in maniera altrettanto generica, rovesciando abbondantemente le colpe dei figli sulle spalle dei padri, spalle colpevoli di tutto, e da qualsiasi punto di vista ci si fosse messi per giudicare: colpevoli di conformismo o di vuoto attivismo dannunziano, di ingenuo e bambinesco fascismo, come di scialbo e sterile antifascismo.” (Carlo Lizzani, “Il cinema italiano 1895-1979” Editori Riuniti, 1980).

“Mi pare che Fellini rappresenti, assieme a Lattuada, Germi, Emmer, l’ala piccolo-borghese della nostra scuola cinematografica realistica e democratica: la storia, la vita attraggono lui pure dalla parte della realtà; d’altro canto è, anche lui, ancor legato ai pregiudizi dell”imparzialità’, delle idealistiche teorie dell’arte che se ne sta ‘al di sopra della mischia’. Nei ‘Vitelloni’ una precisa determinazione critica, sia in senso storico che in senso sociale, manca. Vi è sincera inquietudine, lirica effusione, moralismo sentimentale, e qualche intuizione di un mondo nuovo, diverso. Ma non vi è organica compiutezza, non consequenzialità, tutto tende a fermarsi a metà strada, e si contraddice. Accanto a bellissimi squarci realistici, ecco momenti laterali, secondari, irrilevanti, vere e proprie dispersioni naturalistiche. Ma in un periodo in cui il realismo critico procede frammezzo a tante difficoltà, la cosa non può sorprendere.” (Glauco Viazzi, “Il calendario del Popolo”, ottobre 1953).

“‘I Vitelloni’ (1953), direttamente autobiografico, è una galleria di giovani disoccupati, irresponsabili e velleitari figli di mamma (e il termine entrò nella lingua italiana), tra i quali campeggia il personaggio di Sordi (Alberto), punto di fusione di violenza satirica, grottesco e patetismo. Il film si chiude con la partenza all’alba di Moraldo, il meno intorpidito del gruppo, salutato alla stazione da Guido, il piccolo aiuto ferroviere, simbolo di un mondo dove la fatica quotidiana è la regola. Dove va Moraldo? La risposta doveva venire da un film di cui Fellini scrisse la sceneggiatura con Flaiano e Pinelli ma che non realizzò mai: ‘Moraldo in città’, dove la città è Roma, la capitale. Il ragazzo che all’inizio di Roma – dopo le vignette provinciali d’approccio – sbarca a Stazione Termini è una reincarnazione di quel Moraldo Federico.” (Morando Morandini, in “Storia del cinema” a cura di Adelio Ferrero, Marsilio, 1978).

“Il film, sia o no per raffinati, piaccia o no alle platee, risulti o no spiacevole qualche inutile grossolanità (l’episodio dell’attore vizioso e anormale), è tra i migliori dell’ultima produzione italiana.” (Arturo Lanocita, “Corriere della sera”, 28 agosto 1953).

“Un film che ha la sua importanza. Anzitutto perché ha parecchie pagine molto intelligenti; poi perché va alla scoperta di un suo saporito mondo provinciale, e infine perché è il secondo film di un giovane che qui compiutamente si afferma.” (Mario Grasso, “La Stampa”, 9 ottobre 1953).

“Con questo film Fellini inventò (o rese familiare, il che è poi lo stesso) un neologismo destinato a vivere ancor oggi, ad entrare nel lessico corrente. Impose nuovamente Sordi, che il noleggio allora non voleva assolutamente (lo stesso Fellini ricorda che, quando finalmente riuscì a trovare una distribuzione, nei primi manifesti e nelle prime copie gli si impose di non menzionare il nome: ‘fa scappare la gente – dicevano – è antipatico, il pubblico non lo sopporta’). Soprattutto si fece finalmente riconoscere per quel che era ed è: un grande narratore crepuscolare nelle vesti di un descrittore ironico.” (Claudio G. Fava, “I film di Federico Fellini”, Firenze, 1981).

“Nei ‘Vitelloni’, prima rimpatriata a Rimini, in una realtà placentare perfettamente conosciuta, la struttura
narrativa subisce una scomposizione importante: la singola storia è frantumata in cinque vicende dallo
sviluppo contemporaneo. Ognuno dei cinque amici insegue desideri diversi e si ritrova allo stesso punto di partenza, agli stessi discorsi, agli stessi incontri, agli stessi sogni frustrati.Per una sorta di pudore stilistico l’autore cerca di mantenere un atteggiamento di equidistanza nei confronti dei personaggi e solo la voce dell’io narrante ne segnala il coinvolgimento affettivo.” (Gian Piero Brunetta, “Cent’anni di cinema italiano”, Laterza, 1991).

“Fellini, si sa, attua un ‘cinema della memoria’, nel quale cala con straordinario nitore sedimenti di un
autobiografismo immediato e pressante. Egli non è mai al di fuori della mischia, non giudica né condanna mai, ma in certo senso solidarizza sempre con i suoi personaggi, nei quali è sempre proiettata una parte della propria esperienza umana. Così è per ‘I vitelloni’: non è difficile riconoscere quanto di Fellini vi sia nella fatuità di Fausto, nel velleitarismo di Poldo, nell’infantilismo di Alberto. Ma Fellini è anche, e soprattutto, Moraldo, lo storico e il giudice del gruppo.Nel finale del film Moraldo parte; col suo valigino di fibra e pochi soldi in tasca prende un treno qualsiasi, che lo strappi a quel limbo di inutilità e lo faccia approdare in un luogo dove la vita, e il lavoro, abbiano un senso. Non sa egli stesso dove andrà e cosa farà. Ma a noi non è difficile immaginarlo: avrà varie esperienze, e finirà per fare del cinema, e per dirigere un film intitolato ‘I vitelloni’…” (Guido Cincotti, “Radiocorriere TV”, maggio 1962).

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