Francia. Collegio di Saint Joseph, compito in classe. Il professor Cavadis, apre la finestra, sale su una sedia e si suicida. I ragazzi lo osservano dall’alto. Stessa scena di Miss Violence, quando l’undicenne Angeliki commette il medesimo gesto. Non sembra un caso la citazione del film di Avranas, dove il suicidio appare l’unica lucida via d’uscita; lì da una condizione estrema di violenza domestica, qui da una di violenza esistenziale.
Il supplente che dovrà sostituire il docente troverà un ambiente scolastico surreale: i colleghi, adulti destrutturati, infantili e a tratti grotteschi; i ragazzi, piccoli zombi inespressivi, organizzati a seguire un percorso misterioso e segreto. Nessuno di loro sembra provare emozioni e tra questi sei studenti sono considerati intellettualmente precoci. Da grandi vorranno fare rispettivamente la cassiera, la cameriera, l’imballatore e il supplente e chiedono al professore se ritiene di essere all’altezza di ricoprire il ruolo di insegnante. Atti di bullismo e di violenza impongono al nuovo arrivato di intervenire, mentre il resto dei docenti sembra indifferente: Apolline, pertanto, si sente autorizzata a chiedere a Michel se è di sinistra, in quanto quelli di sinistra difendono sempre gli oppressi. Continue provocazioni e curiosità del professore contribuiscono ad accentuare la sua ossessione kafkiana, ma le considerazioni sull’ambiente e sull’inquinamento dei ragazzi e i loro giochi segreti non contribuiranno alla serenità professionale del docente.
Simulazioni di atti terroristici a scuola; ragazzi che arrivano in ritardo con evidenti ecchimosi, esercitazioni extrascolastiche sulla resistenza al dolore. Alcuni adulti ritengono che siano dei poveri ragazzi ricchi che amano spingersi al limite, ma il sole accecante che spesso compare sulla pellicola individua un altro percorso interpretativo. I poveri ragazzi ricchi si stanno esercitando a resistere al dolore e ad affrontare la morte. Sono illuminati come chi, uscito dalla caverna dove si trovava legato guardando solo le immagini/ombre della realtà esterna, rimane accecato. Il mito della caverna al quale Platone ricorre fa uno specifico riferimento all’educazione (Libro VII, 514, Repubblica) ed è l’esatta rappresentazione della realtà: solo chi esce da quella condizione di prigioniero delle illusioni può liberarsi e vedere la luce, prima accecante e poi chiara e distinta. E mentre tutti gli altri, soprattutto gli adulti docenti e gli assenti genitori, sembrano adagiati a vivere nella caverna, i ragazzi illuminati e abbagliati da cotanta realtà non considerano neanche l’ipotesi socratica di esercitare l’arte maieutica; ormai è troppo tardi e tutte le documentazioni che hanno assemblato ne sono la dimostrazione.
“convieni anche su questo fatto, che non c’è da sorprendersi se chi è giunto fino a tal punto non voglia poi occuparsi delle faccende degli uomini, e la sua anima aspiri sempre a restare lassù: è in effetti del tutto verosimile che sia così, se anche questo sta nel modo descritto dalla nostra immagine” (Platone, Repubblica, Libro VII, 514a-517d).
L’illusione della conoscenza trasmissibile attraverso l’educazione non sembra più avere alcun effetto seducente né per chi sa, perché ha imparato a vedere, né per chi non sa perché non riesce a vedere. Pertanto, neanche la poetica posizione antisuicidio schopenhaueriana, atto di resistenza alla burattinaia volontà di vivere può avere più alcun potere attrattivo; tanto meno la risposta antisuicidio di Camus all’assurdità dell’esistenza come rivolta alla nostra condizione tragica e comica di Nietzschiana memoria. I ragazzi, proprio perché illuminati da un abbaglio, hanno preso una decisione irreversibile e nessuno potrà distoglierli da quell’obiettivo tanto folle quanto inevitabile.
L’ultima ora di Sébastien Marnier è un film di genere misto tratto dall’omonimo romanzo di Christophe Dufossè, che fa riflettere sul perché dalla Francia soprattutto arrivino queste pellicole realistico-nichilistiche su una gioventù ormai disillusa e disincantata, sebbene a tratti rivoluzionaria come in Nocturama di Bertrand Bonello. E fa riflettere anche sul fatto che quest’ultima, passata a Cannes, e questa, alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Sconfini, siano apparse e scomparse come opere da tenere sotto controllo. L’interrogativo che Apolline rivolge al professore racchiude l’agghiacciante centrale concetto del film: chi può essere all’altezza oggi, nella nostra condizione, ambientale, climatica, etica, politica, economica, esistenziale di presentare un prospettiva futura? O forse la cultura insieme all’arte può essere solo la giustificazione estetica della nostra esistenza, come diceva Nietzsche nell La nascita della Tragedia?
“Se ci sentiamo minacciati siamo autorizzati a lasciare la classe”: la metafora di questa affermazione di Apolline conferma la loro impossibilità di scelta dettata dall’estrema lucidità. Un film altamente imperfetto, con una sceneggiatura traballante ma non per questo non concettualmente sofisticatissimo. Un atto di accusa nei confronti dell’irresponsabilità del passato e di tutti gli adulti che lo hanno attraversato, una presa di posizione nichilistico/illuminata di chi vede il presente.