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In memoria di Ugo Gregoretti. Il ricordo di Taxi Drivers

Giovanni Berardi ci offre la preziosa testimonianza del suo incontro con Ugo Gregoretti, durante il quale è stato ricostruito il complesso iter cinematografico, e non solo, del regista. Un ricordo attraverso cui ricomporre una storia ancora troppo poco nota. Un doveroso omaggio a un grande uomo di cinema

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Quando abbiamo incontrato Ugo Gregoretti siamo rimasti davvero incantati dalla sua armonia caratteriale, dalla sua dolcezza, dal suo ottimismo, dalla sua assoluta saggezza. Nonostante una leggera sindrome influenzale che in quei giorni lo costringeva a letto, lui ci aveva ugualmente ricevuto nella sua casa a due passi da piazza Navona, a Roma. Ora che il 5 Luglio scorso Gregoretti è venuto a mancare è tornato alla mente quel ricordo e quel pensiero. Ugo Gregoretti è stato un autore degli anni del boom cinematografico italiano, il suo esordio, nei primissimi anni Sessanta, è coinciso con quelli di Pasolini, Olmi, Ferreri, i fratelli Taviani, Montaldo, De Seta, Vancini, Petri, De  Bosio, Brusati Orsini, Damiani, Caprioli, Scola, Bertolucci, Brass, Wertmuller, Cavani, Bellocchio, Mingozzi. Stiamo parlando propriamente, e ancora una volta, del grande e irripetibile cinema italiano di cui Ugo Gregoretti è stato sicuramente un alfiere. Il suo ultimo film per il cinema è stato Scossa nel 2011, un film a più episodi e a più autori: oltre a Gregoretti hanno filmato, quelle che sono le riflessioni sul terribile terremoto di Messina accaduto nel 1908, Carlo Lizzani,  Francesco Maselli, Nino Russo.

Aveva detto Ugo Gregoretti: “Quello che era un progetto nato per celebrare i cento anni del terribile sisma di Messina,  reputo che sia diventato, per quel che mi riguarda, la cosa migliore che ho fatto sin’ora nel cinema”.  E il cinema Ugo Gregoretti lo ha interpretato proprio percorrendo per intero l’arco costituzionale dello spettacolo, infatti, oltre che regista, sceneggiatore, commediografo e giornalista cine-televisivo, è stato anche attore. Anzi per dirne ancora, ha curato e presentato anche un’edizione di Domenica In, trasmissione che rimane una delle più longeve della televisione italiana.  Pertinente, ad esempio, la definizione data da Ugo Gregoretti al particolare modo di interpretare la sua carriera: “Un vagabondaggio, anche estremo, nelle diverse forme di spettacolo“.

La sua verve, sempre profondamente ironica e autoironica, aveva convinto appieno, a suo tempo, uno dei più stimati maestri del cinema umoristico e dell’ironia come Alberto Sordi, che in qualità di regista lo ha voluto tra gli interpreti dei suoi film  Amore mio aiutami  nel 1968 e  Il comune senso del pudore nel 1976. Gregoretti, d’altronde, segna anche l’esordio nel cinema del regista Gianni Amelio, laddove per lui ha interpretato il ruolo del protagonista nel suo film, La fine del gioco  1970. Ugo Gregoretti si dichiarava ancora ottimista verso le possibilità del cinema italiano che, al contrario di molti suoi colleghi, tendeva ancora a definire energico, vitale, bello. Diceva infatti: “Sono un po’ aiutato da quella che è la mia innata tendenza caratteriale sensibilmente orientata verso l’ottimismo più profondo, anche se qualche volta ho come l’impressione che questo ottimismo sia, in verità, un espediente, forse di radice inconscia, per continuare a vivere più serenamente. Quindi, al di là di tutto, sono portato a vedere in una prospettiva positiva anche quello che è lo sviluppo del cinema italiano attuale e a mettere l’accento soprattutto sulle cose valide, a diversi livelli generazionali. Certo, non vedo in questo percorso, però, le punte altissime dei decenni passati“. Noi, al suo cospetto, incalzavamo dicendo che in fondo quegli esordi avevano una garanzia, anche industriale, che oggi non esiste più. Quei nomi, riferiti all’epoca del debutto di Ugo Gregoretti, che il tempo ha confermato certamente uno più importante dell’altro, hanno avuto l’opportunità di fare anche un secondo film, che, anche se sbagliato (un esempio in questo senso potrebbe essere Marco Bellocchio, perché riteniamo il suo secondo, La Cina è vicina, assolutamente inferiore al suo primo, I pugni in tasca), non ha interdetto la possibilità di farne un terzo, un quarto e un quinto. Cosa che riesce impossibile oggi. Se oggi un autore sbaglia il primo film o il secondo è difficile, se non impossibile, arrivare al terzo. Il mercato ti respinge inesorabilmente. Ugo Gregoretti aveva in questo senso un’altra risposta: “In fondo oggi il cinema non è più visto come una sorta di fata Morgana, quasi inarrivabile. La quantità di giovani determinati a fare cinema è smisuratamente cresciuta rispetto a quei tempi, forse perché è cresciuta, quasi di pari passo, anche l’opportunità generale di fare cinema. Basti pensare all’uso del telefonino, ad esempio, alla nuova tecnica del digitale, alla televisione che con le sue fiction dà modo di esprimersi a molti, presumibilmente, talenti“.

 

Ugo Gregoretti resta un regista dalla filmografia non particolarmente ricca di titoli. Tra i suoi lungometraggi, essenzialmente di fiction, possiamo segnalarne solo una mezza dozzina: I nuovi angeli (1961) Ro.Go.Pa.G (1963), Le più belle truffe del mondo (1963), Omicron (1963), Le belle famiglie (1964), Maggio musicale (1989), un film tanto amato, interpretato dallo splendido attore Malcolm McDowell.  In seguito sarà il genere del documentario la forma scelta dal regista per esprimersi nel suo cinema. Il suo esordio, frutto anche di un preciso intuito del produttore Alfredo Bini è il film I nuovi angeli. La pellicola nasceva dalle inchieste giornalistiche sulla gioventù italiana negli anni del boom, realizzate dal giornalista Mino Guerrini, colui che sarà in futuro anche un regista cinematografico. Questo esordio è stato un successo, e il produttore Bini se ne vanterà per parecchio tempo, a tal punto da incoraggiare il giovane Gregoretti a proseguire sulla strada del cinema, lui che era già un affermato regista di documentari e di inchieste televisive, come ad esempio La Sicilia del Gattopardo, e di trasmissioni giornalistiche realizzate per la televisione come Controfagotto (1961), che in realtà era, per i tempi, sicuramente un’innovativa e anticonformista, tutto sommato, rubrica di costume.

Dopo Gregoretti, forse, solo Renzo Arbore, su certi temi, riuscirà a mantenere in televisione certi livelli intellettivi. Dice Gregoretti: “In verità in quegli anni volevo fare assolutamente cinema e il successo anche internazionale del mio primo film mi incoraggiava alquanto a proseguire“.  E aggiunge: “Ho portato nella mia prima esperienza cinematografica la grande voglia che avevo di fare cinema con lo stesso metodo che avevo adottato fino a quel momento, cioè usando come attori i personaggi reali che avevo incontrato nel lavoro di giornalista televisivo. Ero effettivamente convinto, per questo, che il mio passato televisivo era già essenzialmente cinema”. E l’esperienza successiva fu per Gregoretti sicuramente da manuale. “Subito dopo si presentò una esperienza importante“, ci aveva raccontato Gregoretti, “mentore del progetto era Roberto Rossellini ”.  Il film infatti, realizzato a episodi, si chiamava Ro.Go.Pa.G, dalle iniziali dei registi impegnati, Roberto Rossellini, Jean Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti. L’episodio di Gregoretti, Il pollo ruspante (insieme a quello, famosissimo e contestatissimo, di Pasolini,  La ricotta), realizzato secondo i canoni della migliore commedia all’italiana, sarà ricordato come il momento più autentico e sincero di un film in realtà complesso e difficile.

L’idea del film”, diceva Gregoretti, “ era di soffermarsi, secondo le nostre intuizioni, sul condizionamento profondo che la società dei consumi avrebbe alla fine comportato sugli individui”. “Questo film fu importantissimo per me proprio per il rapporto di profonda simpatia e di relazioni che si riuscì a stabilire con Rossellini e Pasolini ”. Con Omicron, invece, le cose presero un percorso diverso. Diceva, infatti, Gregoretti: “Omicron era un film sulla fabbrica, anzi sulla Fiat. La base era assolutamente documentaria, un’inchiesta del giornalista Giovanni Carocci uscita sulla rivista Nuovi Argomenti. Di supporto all’inchiesta di Carocci avevo organizzato, sui temi del lavoro, un incontro con alcuni giovani redattori di Ombre Rosse, come Fofi e Soavi. Omicron non raggiunse il successo sperato perché, in realtà, il film non fu capito. Il film fu riabilitato, in qualche maniera, solo dopo il Sessantotto, grazie alle grandi lotte degli operai e degli studenti. Ricordo che anche a sinistra c’erano state forti resistenze quando il film uscì. Forse perché Omicron trattava la fabbrica con toni fortemente umoristici”.

In questo senso, poi, Ugo Gregoretti era stato pure il regista che aveva diretto anche il fenomeno comico Totò. Il film si chiamava Le belle famiglie. Diceva Ugo Gregoretti: “Le belle famiglie era, almeno così lo avevano vissuto, un tentativo per risalire un po’ la china sul versante economico dopo il completo insuccesso di Omicron. Invece così non è stato perché anche Le belle famiglie, nonostante fu pensato molto a tavolino proprio per andare incontro alle esigenze che chiedeva il pubblico, non ebbe successo. Mi fu affiancato per raggiunge il risultato popolare, in sede di sceneggiatura, persino Steno, esperto proprio nel soddisfare appieno il gusto del pubblico. Ma la cosa non ha funzionato lo stesso, e sono andato quindi, pesantemente, incontro ad un altro insuccesso. Ma devo dire, però, che su di me è sempre pesata l’ascia di essere stato un regista cinematografico che veniva dal mondo della televisione. A quei tempi non c’era assolutamente alcun rapporto tra le due discipline, anzi”.

Ugo Gregoretti, comunque, è restato importante soprattutto per le generazioni più giovani, negli anni che sono andati sino alla metà dei Settanta, per un film documentario tra i più utili girati nel decennio, quel Vietnam, scene del dopoguerra (1975), che il regista ha girato in collaborazione con l’ex direttore dell’Unità, il giornalista Romano Ledda. In molti, alla fine della proiezione di Vietman, scene dal dopoguerra, proiettato soprattutto nei circuiti d’essai, molto in voga in quel periodo, si erano resi conto di una cosa semplicissima, ma che per anni ci era proprio sfuggita, ed era questa: mentre tutti noi avevamo vissuto, bene o male poco importa, già trentanni di pace e di democrazia, il popolo vietnamita, invece, usciva in quel 1975 da trent’anni di guerra sanguinaria. E cosa aveva mostrato, di così autentico, quel film? Semplicemente un popolo che non si piangeva addosso, ma neppure esultava, però scopriva, finalmente, che poteva cercare e trovare la giusta quiete e la sospirata pace. Soprattutto, ci si rendeva conto che non era un popolo finito in poltiglia. Vietnam, scene del dopoguerra è stata davvero una visione importantissima e di grande maturità. Ci sarebbe potuto essere ancora un futuro per il cinema di Ugo Gregoretti. La sua autobiografia, infatti, raccolta nel libro Finale aperto, era già un trattamento cinematografico raccolto dallo sceneggiatore Giorgio Arlorio. Però, c’è un dannato però, la Commissione che assegnava i fondi pubblici per lo spettacolo (oggi senza questo finanziamento elargito dallo Stato è quasi impensabile montare un film) aveva ignorato questa proposta presentata dalla produttrice Grazia Volpi. E la motivazione ufficiale del Ministero era stata: “I pochi fondi disponibili per lo spettacolo cinematografico sono assegnati per sviluppare sceneggiature di autori più giovani”.

Grazie Ugo Gregoretti.        

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