Ferro 3 – La casa vuota, un film del 2004 diretto da Kim Ki-duk. Il film è stato presentato alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in concorso come “film a sorpresa”, ed il suo titolo è stato rivelato solo a rassegna iniziata. Il ferro 3, inserito per volere del regista nei titoli tradotti, si riferisce alla mazza da golf usata dal protagonista, una delle mazze meno usate nel gioco. Con Hyun-kyoon Lee, Seung-yeon Lee, Mi-suk Lee, Ji-a Park.
Sinossi
Tae-Suk conduce una vita inconsueta: entra nelle case lasciate vuote per qualche giorno dai proprietari, cerca di partecipare alle loro esistenze per rifugiarsi in una vita che non possiede e per cancellare la sua emarginazione. Ripara gli oggetti rotti per colmare la sua solitudine e per aggiustare qualcosa che si è spezzato nella sua anima, che non gli permette di vivere come gli altri. Prova un senso di alienazione dalla realtà, ma vorrebbe disperatamente farne parte. Tutto cambia il giorno in cui entra nella lussuosa villa di Sun-hwa, una ragazza sposata con un uomo che odia e che la tratta come un oggetto di sua proprietà.
Se esiste un modo per descrivere, con le immagini e con i silenzi, la leggerezza, la delicata intesa che può crearsi tra due spiriti affini e la sospensione dal mondo reale, sicuramente Kim Ki-Duk è riuscito a farlo. Ferro 3 è l’opera di un regista insolito (autore anche dello straordinario Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora Primavera) che, pur mantenendosi fuori dagli schemi, riesce a impressionare lo spettatore, fino a creare un particolare stato d’animo latente che viene fuori solo al termine della visione, come se esplodesse con i titoli di coda, per rimanere ancorato ai nostri ricordi per sempre. Il ferro 3 è la mazza da golf meno utilizzata dai giocatori, quella destinata a restare spesso da sola, esclusa dal gioco, sempre nella custodia, ed è il mezzo con cui Ki-Duk rappresenta l’isolamento di Tae-Suk. Sun-hwa comprende questa sua solitudine e tende a restargli accanto con estrema tenerezza e comprensione. Lo stesso ferro 3 è anche l’arma della violenza, sia volontaria che involontaria, quando Tae-Suk, inavvertitamente, ferisce con la pallina una donna, colpendola attraverso un vetro.
“Mentre scegliamo in quale casa vivere, ci sentiamo sempre più liberi. Nel momento in cui sembra che la nostra sete di libertà si sia placata, restiamo intrappolati all’interno di una casa buia. L’uno resta in una casa fatta di nostalgia. L’altro impara a diventare un fantasma per nascondersi nel mondo della nostalgia”, spiega lo stesso regista. Infatti, alla fine, il protagonista trova un modo tanto segreto quanto folle per restare accanto alla sua amata, per creare con lei un’intimità sacra, intoccabile, che nessuno turberà mai. Entrambi riescono a diventare quasi eterei, perdendo la loro sostanza e il loro peso nella società, così, nell’ultima scena, insieme, su una bilancia, sono capaci di annullare la loro corporeità. In una pellicola del genere, in cui immagini e suoni sono più importanti di tutto il resto, la fotografia e il sonoro acquistano particolare valenza, soprattutto se vengono utilizzati per portare all’attenzione il singolare modo di percepire la realtà dei due protagonisti. “Il mio cinema è un dialogo fatto d’immagini, come per la pittura” ha sempre detto Kim Ki-duk, ed è portando sullo schermo i suoi ritratti che riesce ad analizzare i suoi personaggi, frammenti di un quadro più grande, che è quello dell’animo umano. Il mutismo caratterizza le sue storie, perché esprime la reazione, fredda e quasi disperata, di chi non tollera più i soprusi e la violenza della comunicazione verbale e della società contemporanea. Il suo cinema è delicata innovazione, è rifiuto passionale che viene raccontato attraverso mezzi e primi piani, con la sua peculiare cura nei dettagli e nell’arredamento degli interni, con la descrizione delle tradizioni e degli usi coreani. Inoltre, spesso, il regista impiega suoni diegetici e un delicato sottofondo musicale (la bellissima Gafsa di Natacha Atlas) per narrare la storia dei due innamorati. Naturalmente, anche i due interpreti sono incredibili, Seung–yeon Lee (Sun-hwa) e soprattutto Hee Jae (meraviglioso Tae-suk!) che, con i suoi lievissimi gesti, riesce a raggiungere, oltre all’invisibilità, una grazia che lo rende sublime e passionale al tempo stesso.
“Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno”, e così il mondo in cui vivono i due solitari protagonisti sembra svanire, sublimarsi, per restare solo nella nostra memoria. Noi rimaniamo qui a domandarci se, talvolta, non desideriamo, come loro, costruirci un riparo sicuro da tutti, un rifugio in cui non è necessario parlare, in cui si possa restare sospesi fuori dal tempo e dalla chiassosa monotonia della vita. Intanto, questa pellicola offre la possibilità di alienarci dalla quotidianità, di apprezzare lentamente la dolcezza di una storia impalpabile come una piuma, di ammirare la bellezza di una silente ribellione che, impercettibilmente, scompare nell’abbraccio, reale o ideale, di Tae-Suk e della sua incantevole Sun-hwa.