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Dark 2: la serie Netflix creata da Baran bo Odar e Jantje Friese è la nostra scelta della settimana

A Winden il mistero si infittisce: il prete Noah sembra viaggiare tra passato, presente e futuro con facilità, mentre Jonas sembra irrimediabilmente intrappolato nel futuro. Un futuro dove ritrova tanti suoi conoscenti, lo stesso futuro dal quale il Jonas che adesso è nel passato cerca disperatamente di scongiurare, perché foriero di un’imminente apocalisse

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Quando si dice “la gioia di non capirci niente”: ecco, Dark porta alle estreme conseguenze questa teoria. Salti indietro e avanti nel tempo, apocalisse e filosofia: sono i temi cardine della serie che ha riscritto la grammatica televisiva (Lost, e chi se no?), ma sono anche i punti centrali di Dark, di cui la rivoluzionaria creatura di J. J. Abrams è l’emanazione più diretta e, contemporaneamente, più differente. Perché è come se Dark prendesse tutti gli spunti parascientifici di Lost e li portasse avanti in maniera più lineare, severa e rigida del suo predecessore, senza sconti e senza sbracare mai nella soluzione new age, bensì accettando ogni conseguenza delle proprie teorie scientifiche. Perché alla base del serial tedesco di Netflix c’è ovviamente un presupposto pratico: la scoperta di come viaggiare nel tempo. Legata però alla consapevolezza dell’eterno ciclo della vita.

Dark 2 riprende esattamente da dove eravamo rimasti lo scorso anno: tante trame e tantissimi personaggi tutti fortemente collegati non solo tra di loro, ma anche con i loro corrispettivi del passato e del futuro. Perché se il viaggio del tempo è il nucleo magmatico della narrazione, che lo sia fino alla fine: e quindi ecco protagonisti figli di loro stessi (o quasi), bambini che tornano indietro nel tempo per dare vita a ciò che li ha fatti tornare indietro (….), ragazzi catapultati nel futuro per poter tornare poi indietro nel passato e aiutare a sbrogliare la matassa… che probabilmente è un pelino meno complicata di come la si è prospettata e come può sembrare, ma è di certo un guazzabuglio narrativo che ha la sua continuità ma richiede la massima attenzione.

Ed è questo il primo, grande punto di forza della serie: il patto implicito che sottoscrive con lo spettatore, perché la visione degli otto episodi di Dark 2 richiedono una concentrazione assoluta. Nei tempi del fast, la serie creata da Baran bo Odar e Jantje Friese è fatta di rincorse e accelerate, ma è l’esatto opposto della visione mordi & fuggi a cui oggi anche il cinema spesso abdica: la seconda stagione gioca a carte scoperte con lo spettatore, ammette la sua natura a metà tra gioco intellettuale e racconto parascientifico, si sposta leggermente verso il fantastico ma tiene fermi i suoi punti di forza, cioè l’attenzione per i personaggi e l’atmosfera che impregna ogni sequenza. Riflettendo e facendo riflettere sempre sul dramma che racconta, con una scrittura che fa fruttare alla perfezione quanto scritto un anno e mezzo fa facendo sì che il flusso narrativo travolga impetuoso con la sua carica emotiva, mentre qua e là vengono insinuati spunti e suggestioni sulla dualità del destino e del libero arbitrio, con uomini e donne che lottano per sfuggire a “ciò che deve essere”.

In questo senso, allora, distanziandosi con un passo lungo dall’opera che più di tutte, alla prima stagione di entrambe, aveva fatto storcere il naso per le sospette somiglianze e similitudini (Stranger Things, che invece adesso sbarca sulla N rossa con la sua terza serie), svelandosi come dichiaratamente più ambiziosa nelle tematiche e nella messa in scena, con una sceneggiatura intelligente e particolarmente certosina mentre miscela senza soluzione di continuità viaggi temporali, affari e intrighi familiari.

Dark, insieme a Stranger Things e Lost, si appresta quindi -considerando che la terza stagione arriverà e chiuderà la storia- a triangolare il senso di smarrimento del nuovo secolo, intrappolato nel tempo tra un passato glorioso  a cui non può e non vuole rinunciare e un futuro che sembra già scritto ma che, carico di nubi scure, deve essere scongiurato ad ogni costo. Metaforicamente o meno.

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