Stanotte su Fuori Orario (Rai Tre) alle 01,50 Sogni d’oro, un film del 1981 scritto, diretto e interpretato da Nanni Moretti, con Piera Degli Esposti, Laura Morante, Alessandro Haber, Remo Remotti, Nicola Di Pinto, Mario Colli, Miranda Campa, Gigio Morra, Giampiero Mughini, Tatti Sanguineti, Claudio Spadaro. Il film venne premiato con il Leone d’argento al Festival del Cinema di Venezia nel 1981. Il riconoscimento venne accolto nell’ambiente del cinema con qualche dissenso. Al film veniva rimproverata la presunzione esasperata del personaggio autobiografico di Moretti e il pericoloso accostarsi al modello 8½ di Federico Fellini. Sull’Europeo dello stesso anno si attribuisce a Sergio Leone la seguente dichiarazione: «Fellini 8 1/2 m’interessa, Moretti 1 1/4 no». Vani furono i ripetuti tentativi di Moretti di smentire la rilettura del suo film come un’opera sui tormenti di un artista in crisi creativa o sul Cinema stesso.
Sinossi
Michele Apicella è un giovane cineasta che ha avuto successo con i suoi film ed è continuamente richiesto in qualità di ospite per interviste e convegni. Attualmente sta lavorando a una nuova sceneggiatura dal titolo “La mamma di Freud”, ma deve fare i conti con tutta una serie di ostacoli: la concorrenza di alcuni colleghi, l’insistenza di due individui che vogliono imparare il mestiere ad ogni costo, e soprattutto l’amore non corrisposto per Silvia, un’ex compagna di scuola che gli appare in sogno tutte le notti. Alla fine il film esce e le accoglienze sono favorevoli, ma i sogni di Michele peggiorano.
Opera spartiacque nella filmografia di Nanni Moretti, tra la grezza vitalità degli esordi e i suoi capolavori degli anni Ottanta (Bianca e La messa è finita), Sogni d’oro, Leone d’argento al festival di Venezia, si presenta con disarmante sincerità già nella programmatica dichiarazione d’intenti dell’incipit, che immerge da subito il film nelle suggestioni del metacinema, con Moretti che, attraverso il moderatore del dibattito, (ci) presenta il suo alter ego, il regista Michele Apicella: “Come lavora Michele? Senza sceneggiatura, con attori improvvisati che recitano se stessi con disinvoltura ed in totale identificazione con le problematiche del film o, se si vuole, del non-film, se così possiamo definire un lavoro che cresce nel farsi, senza un inizio ed una fine, dove i protagonisti usano il cinema come strumento di autoanalisi”. Ed ecco arrivare subito la gag autoironica, irresistibile tormentone del film, con il moderatore interrotto dall’ipercritico Dario Cantarelli, che apostrofa veementemente Michele: “E il prossimo? E il prossimo? Sono tre anni che campi di rendita, tre anni… Sempre gli stessi argomenti: i giovani, il ’68, la scuola, la famiglia. Dopo il primo già si capiva che dovevi cambiare, ma ora è obbligatorio, è obbligatorio! Ma che ti inventerai quest’anno? Questo film prova a farlo vedere a un bracciante lucano, a un pastore abruzzese o a una casalinga di Treviso, ti ci porto io…”. E gli attacchi personali proseguono, tirando sempre in ballo la fantomatica casalinga trevigiana:“Ma lei si rende conto che il cinema non è il suo mestiere? Lei ha voluto fare un film sui giovani: guardi, se i giovani sono così’, allora… Lei sarà così. Lei c’ha parlato dei fatti suoi, una sua esperienza personale, tra l’altro molto limitata. Ma questo film non è rappresentativo dei giovani”. “Infatti io non volevo rappresentarli, rappresento a malapena me stesso…”. “Forse noi possiamo capire questi suoi giochi intellettuali, questi esperimenti linguistici, ma una casalinga di Treviso cosa capisce di questo suo linguaggio nuovo? Cosa gliene importa a lei, che ha lavorato tutto il giorno? La sera è stanca, ha voglia di divertirsi”.
Tra critici impietosi, aspiranti registi invadenti, pubblico disorientato, un rapporto conflittuale con la madre (il film a cui sta lavorando si intitola, appunto, La madre di Freud), psicanalisi, depressione, sentimenti alla deriva, sguardi stralunati sulla volgarità del mondo e sogni inquietanti, Michele Apicella attraversa il palcoscenico della propria esistenza condividendo con lo spettatore ogni personale smarrimento e perplessità, per lasciarli poi evaporare nell’amarezza e nella malinconia. Sogni d’oro è un dissacrante monumento all’autoironia, è l’apoteosi del grottesco, una lucidissima e disincantata disamina sullo “stato delle cose” nel cinema e nella televisione italiani, profetico, folgorante, squassato da stranianti strappi drammaturgici che ne sublimano l’incisività in un tripudio di lapidario e corrosivo sarcasmo, tra gag esilaranti (il dibattito con le suore dopo la proiezione del film o le furibonde liti di Michele con i due fratelli aspiranti registi) e gli scarti surreali della narrazione, immediatamente “ricondotti all’ordine” svelandone la reale natura (il balletto dei manifestanti pro-Vietnam che si rivela un set cinematografico), oppure lasciati deflagrare fino all’eccesso, come nel delirante faccia a faccia, durante il talk show televisivo moderato da Giampiero Mughini, tra Michele e il regista Gigio Cimino (Gigio Morra), rappresentante delle nuove promesse del cinema italiano, demolito verbalmente da Moretti in uno spassoso confronto, avviato da un perentorio “In Italia sono l’unico tra i nuovi registi ad avere talento, voi siete aridi, non sapete cos’è il cinema, siete corrotti dal vostro desiderio di potere… Desiderio ingiusto, dato che siete anche cretini” e concluso da un definitivo “A stronzo e famme una pippa! Anvedi ‘sto burino, ancora parli? Ma se nun t’areggi in piedi, sei alto un cazzo e due barattoli, con uno sputo t’affoghi. Ma vaffanculo, va… Anvedi che sei, a brutto stronzo“: ma, in termini di delirio, il confronto tra i due non si è ancora esaurito, visto che seguiranno, infatti, anche un match di pugilato e una gara in costume da pinguino. Cast straordinario, da uno strepitoso Remo Remotti (l’irresistibile Freud alle prese con il complesso di Edipo) a Alessandro Haber e Laura Morante, fino a Tatti Sanguineti (l’aiuto regista), Piera Degli Esposti (la madre di Michele); colonna sonora (che propone anche la suggestiva Un uomo da bruciare di Renato Zero), splendida, di Franco Piersanti.