Intervista a Gustavo Salmerón, regista di Muchos hijos, un mono y un castillo
Muchos hijos, un mono y un castillo è il documentario diretto da Gustavo Salmerón nel 2017, ispirato alla madre Julieta e agli avvenimenti familiari. La donna si ritrova al'età di 83 anni con tre desideri avverati: avere molti figli, una scimmia in casa e vivere in un castello. Abbiamo intervistato il regista
La protagonista del documentario, tua madre, è una donna di 83 anni che durante la sua vita ha realizzato tre grandi desideri: avere molti figli, avere una scimmia in casa e comprare un castello. Ne viene fuori il ritratto di una personalità molto particolare. Qual è l’aspetto di questa donna che più ti ha stupito?
Quello che più mi ha sorpreso è la sua capacità di giocare alla sua età, riguardo la recitazione. La sua capacità innata a stare sul set di un film proprio come un’attrice professionista, di sapere, senza aver studiato arti sceniche o drammaturgia, che la sua qualità come narratrice di racconti e il suo senso del ritmo sono aspetti essenziali per mantenere viva l’attenzione dello spettatore. Inoltre, possiede qualcosa che è essenziale per un attore, cioè la necessità che doni completamente se stesso, senza preoccuparsi di risultare ridicolo agli occhi degli altri. È importante che esponga senzapudore le sue parti più ridicole e idiote, messe pertanto al servizio del film. Per una commedia è fondamentale.
Quanto sono durate le riprese e quali son state le difficoltà riscontrate?
Le riprese sono state molto lunghe. Anche per la mia salute mentale (ride, n.d.r.). In totale, sono durate 14 anni. Chiaramente, durante questo tempo, ho fatto anche altre cose, come scrivere qualche sceneggiatura e soprattutto lavorare come attore, però è stato senza ombra di dubbio un processo a tentoni per cercare la storia. Il film, inizialmente, era la storia dell’uccisione di un maiale, però, col passare degli anni, gli avvenimenti familiari importanti si trasformavano nel film che è ora. Ad ogni modo, la cosa più difficile per me sono stati i ventiquattro mesidi montaggio alle prese con 400 ore di materiale girato, cercando di adattare i pezzi gli uni con gli altri.
Julita conserva le vertebre della bisnonna in una scatola ossidata e voi figli la aiutate a cercarle. Che c’è di vero in questa storia e che c’è, invece, di finzione?
Nonostante possa sembrare irreale o assurdo, non c’è nulla di finto. È vero che le vertebre della mia bisnonna assassinata erano state perse, e io ho voluto trovarle e interrarle. Mia madre non aveva nessun interesse nel cercarle, però la mia insistenza ha fatto sì che mi aiutasse a recuperarle. Però, all’interno di un documentario, per quanto si voglia restare fedeli alla realtà, è impossibile raggiungere una verità assoluta perché, qualsiasi sia la decisione presa, si sta già attuando una manipolazione, si sta creando un punto di vista. Il luogo dove collochi la camera, dove tagli un piano, tutto influisce sul fatto che la verità non esiste, anche se i fatti narrati sono realmente accaduti. Nel mio caso, ciò che ho cercato di fare è potenziare la commedia in ciò che stava accadendo, o porre il focus nelle parti più divertenti degli avvenimenti familiari.
Ci sono due azioni chiare nel conflitto della sceneggiatura: il figlio che vuole trovare le vertebre per sotterrarle e la madre che vuole che restino in casa e che non vengano interrate. Il figlio (regista) che vuole realizzare un film e la madre che invece non vuole. Questo conflitto, come un “metadocumentario”, aiuta a raccontare la storia. E l’azione di cercarle, come peripezia drammatica, serve come se fosse una sorte di Macgufin, aiutando la storia a strutturarsi. Le dà un certo ordine, nel caos narrativo.
Julieta non sembra sicura del documentario. Dice che per realizzare un buon film è necessario l’utilizzo di buone immagini, una musica valida e una storia più interessante della sua. Questo lavoro può essere considerato come la difesa del contenuto sulla forma?
Sì, sono d’accordo col fatto che è un saggio dove si dimostra che il contenuto è l’aspetto più importante affinché un film abbia esito. Il contenuto ci connette con l’universale. Ad ogni modo, è anche necessaria una forma concreta, in quanto senza di essa non si può avere un film. È fondamentale la forma scelta affinché questo contenuto fiorisca, ed essa è molto pensata nel mio documentario. Conveniva girare con una macchina da presa casalinga affinché lo spettatore entrasse più facilmente in una realtà che potesse essergli familiare, come attraverso le immagini video e super 8 utilizzate a suo tempo da molte famiglie. Tempo or sono, si dimostrò chela cosa più importante per girare un film è curare il suono; ora, invece, con l’eccesso di definizione, stiamo notando che in molti film è controproducente che le immagini sia così tanto nitide.
Il tema della morte è sviluppato in modo molto spontaneo. L’ultima cosa che Julieta, questa donna ancora piena di vita, vuole fare è divertirsi. È un messaggio molto positivo.Cosa spera di aver trasmesso mediante questo lavoro?
Senza la morte la vita sarebbe insopportabile. Come diceva lo scrittore spagnolo Unamuno “dare la schiena alla morte è la diserzione della vita stessa“. La protagonista tiene in mente costantemente la fine e, al tempo stesso, vive molto intensamente. Si aggrappa alla vita davanti al timore della morte, tuttavia non le dà le spalle, bensì la affronta faccia a faccia e scherza sulla propria esistenza e sulla futura morte. La frase conclusiva del film “voglio divertirmi” sintetizza molto bene l’idea di sfruttare i momenti semplici della vita e vivere nel presente. Sì, è un messaggio positivo e di speranza.
Ci sono delle parti che hai preferito tagliare per vergogna?
Avere vergogna e maneggiarla è fondamentale per l’artista. Tutti abbiamo luoghi oscuri, inconfessabili, vergognosi. Se tratti un tema concreto, e vuoi che trascenda, devi riporre le tue miserie al servizio della creazione, senza timore, né aspettative. Tutto ciò che non c’è nel film è perché non è contemplato dal formato della tragicommedia di 90 minuti, non per vergogna. In questo senso, mia madre è stata una grande maestra nell’insegnarci a ridere di noi stessi, cosa che d’altronde è molto sana, perché come diceva Jung: “ogni espressione è guaritrice”.
Julieta critica la monarchia visto che un re è nominato per privilegio e non per merito . Le tue idee politiche coincidono con quelle di tua madre?
Mia madre è antimonarchica e come dice lei stessa nel film semi-atea (ride, n.d.r.). È chiaro che, così come molta gente, è in costante evoluzione, ancora oggi a 83 anni. Coincidiamo in alcuni aspetti e in altri no. Però, credo che così sia più interessante, anziché seguire alla lettera l’ideologia o il pensiero dei genitori. Porre dubbi e fare domande ci aiuta a crescere. Mia madre è molto contraddittoria e questo è assai interessante per qualsiasi personaggio di un film, sia che esso sia documentario o di finzione.