La mia vita con John F Donovan, disponibile su Now TV, è il settimo (e penultimo film, visto che è stato presentato al recente Festival di Cannes Matthias & Maxime) di Xavier Dolan, primo lavoro in lingua inglese del regista canadese, che racconta il rapporto epistolare tra un bambino-attore e una giovane star televisiva americana, il John F. Donovan del titolo, alle prese con la propria omosessualità nascosta per conservare la popolarità conquistata. Detto così il soggetto è alquanto semplice ed è un altro tassello del “grande romanzo” semi-autobiografico dell’autore quebecoise, gay dichiarato, in cui in ogni suo film il protagonista è alle prese con i difficili rapporti familiari, la ricerca dell’amore, il confronto con la figura materna onnipresente, i lati omofobici della società, ma anche i rapporti aperti e tolleranti delle persone che circondano i personaggi.
Sceneggiatura de La mia vita con John F Donovan
Tutto ciò è presente, ma la sceneggiatura – scritta dallo stesso Dolan, autore anche del montaggio – è molto più complicata: dopo un lungo prologo in cui vediamo l’attore bambino Rupert Turner (Jacob Tremblay) che dialoga con la madre Sam (Natalie Portman) in attesa di incontrare il suo idolo John F. Donovan (Kit Harington), scopre da un notiziario della televisione che l’uomo è morto. Flashforward e ci troviamo a Praga anni dopo con la giornalista politica Audrey Newhouse (Thandie Newton) che deve intervistare controvoglia il Rupert Turner (Ben Schnetzer) adulto e attore che ha pubblicato un libro-epistolario tra lui e Donovan.
Ancorando spazialmente la macchina da presa vicino al tavolino del bar, dove si sono seduti i due personaggi, e nel tempo dell’intervista tra Newhouse e Turner adulto, il film si sviluppa con parecchi flashback sulla storia di Donovan e su quella di Turner bambino. Abbiamo quindi tre linee narrative che s’intrecciano continuamente con salti spaziali e temporali troppo spesso sovrapposti e difficili da seguire, dovuti a una sceneggiatura in cui Dolan ha voluto inserire tutto il suo cinema passato e la sua storia, in un montaggio che molte volte confonde invece di mettere ordine nello sviluppo della diegesi.
La cifra stilistica
Le principali difficoltà sono qui in La mia vita con John F Donovan e sono il motivo dell’insuccesso commerciale della pellicola e le critiche della stampa estera alla sua presentazione al Toronto Film Festival. Per il resto, quello che Dolan mette in scena diviene un’autocitazione di eventi già visti nelle opere precedenti.
Il rapporto tra Turner bambino e la madre Sam – ma anche tra John e sua madre Grace (una sempre splendida Susan Sarandon che non sbaglia mai un colpo) – ripetono le dinamiche e i dialoghi di J’ai tué ma mère, Mommy ed È solo la fine del mondo, nella dipendenza di un rapporto esclusivo madre-figlio costruito sull’amore-odio tra necessità di un legame emotivo vitale e un desiderio di libertà e affermazione come individuo e artista. La duplicazione è la cifra stilistica di La mia vita con John F Donovan: il rapporto figlio-madre; Turner bambino-adulto; la crescita e la scoperta/affermazione della propria omosessualità in Donovan-Turner; la carriera di attore dei due protagonisti; le linee narrative delle loro due vite.
In questa accumulazione narrativa (e visiva) c’è una sovrapposizione continua sia nel contenuto sia nella forma, così che i colori della fotografia, i costumi, i movimenti e le espressioni degli attori sono simili, non pienamente distinguibili e, in senso metacinematografico, non dissimili dalla biografia, dalla personalità e dalla fisicità (in particolare di Donovan e, soprattutto, di Turner adulto) dello stesso regista canadese. Se tutto ciò è un grande limite che inficia il risultato finale, La mia vita con John F Donovan resta comunque un melodramma che legge la contemporaneità con sincera attenzione e conferma il talento cristallino di Xavier Dolan sia come direttore di attori sia come narratore di complessi legami parentali e amicali.