Al debutto nel lungometraggio di finzione, la regista spagnola Arantxa Echevarria con Carmen y Lola mette in scena la nascita di un sentimento liminare e ai margini della società, raccontando la storia d’amore di due adolescenti nella comunità gitana di Madrid.
Carmen (la debuttante Rosy Rodriguez) è la figlia diciasettenne di venditori di piccoli oggetti usati e vecchi, in attesa di fidanzarsi con un coetaneo e della grande festa che i genitori stanno organizzando per rendere pubblico l’evento secondo la tradizione gitana e che sogna di aprire un negozio da parrucchiera. Lola (Zaira Morales, anche lei al primo film) è poco più giovane e aiuta i genitori che hanno un banco di frutta e verdura al mercato; ama studiare e disegnare graffiti sui muri della periferia madrilena, scontrandosi con i genitori – in particolare il padre – analfabeti che non vedono di buon occhio la solitudine in cui è auto reclusa la figlia che si sente diversa ed estranea a tutto ciò che la circonda.
La Echevarria con Carmen y Lola mette in scena l’emarginazione e la discriminazione sotto varie forme dove le due ragazze diventano icone e centro gravitazionale di un mondo che classifica e ordina secondo leggi sociali costruite su una tradizione conservatrice. Così i livelli di oppressione sono stratificati e collegati. Abbiamo una discriminazione economica: le famiglie si arrangiano come possono e vivono in una periferia urbana fatiscente e senza servizi, dove Lola trova un’isola felice nella sala della comunità gestita dalla lungimirante e protettiva Paqui (Carolina Yuste). Una discriminazione culturale: i gitani sono relegati in un quartiere come una comunità reietta, il cui retaggio storico oppressivo del governo spagnolo è rappresentato da una vecchia torre di controllo in disuso che si erge nel quartiere: “come dei pericolosi criminali” commenta tristemente Lola con Paqui. Una discriminazione di genere: le donne della comunità devono fidanzarsi, sposarsi e procreare, relegate a un ruolo servente e subordinato nei confronti degli uomini, siano essi padri, fratelli, fidanzati e mariti. In tutto Carmen y Lola il ruolo di sottomissione della donna nei confronti dell’uomo è una costante, con un’educazione che si tramanda di madre in figlia. Una scena significativa in questo senso è il dialogo tra Carmen e sua madre che ricorda i doveri di casalinga e di buona moglie alla figlia prima del fidanzamento per controbattere allo spirito di ribellione della ragazza e al fatto di essere stufa “di rifare i letti di tutti ogni giorno”. Poi c’è l’oppressione culturale, dove la scuola e l’istruzione è vista come una perdita di tempo. Lola vuole diventare una maestra e durante una cena il padre le proibisce di andare a una gita a un museo e le strappa il foglio (in realtà è una giustificazione di assenza, ma non sa leggere), gridando che è sufficiente scrivere, leggere e far di conto e che la figlia deve trovare marito. E dove la religione, nel senso più retrivo della sua espressione, è elemento di controllo dei costumi tradizionalisti e chiusi, pervadendone la loro esistenza. Infine, abbiamo la discriminazione sessuale: che per Lola (e poi per Carmen) diventa ancora più evidente per la sua attrazione verso le altre ragazze. Quindi, le due protagoniste riassumono in sé i cinque livelli di oppressione: economica, sociale, culturale, di genere e sessuale. Messi in scena da Arantxa Echevarria come dei gironi di un purgatorio che le due ragazze devono subire e affrontare per rendersi libere e vivere la loro vita.
Ma Carmen y Lola è anche una storia d’amore adolescenziale, un coming of age universale, dove la nascita del sentimento è messo in scena dalla regista spagnola con levità in cui l’erotismo si gioca sull’inquadrature di particolari: un ventre scoperto, le dita di Lola che carezzano la schiena di Carmen, le mani delle ragazze che si stringono. La sessualità si rende visibile attraverso un forte erotismo di sguardi e disvelamenti rinunciando a una visione esplicita e rendendo Carmen y Lola una pellicola intimamente sensuale dove le emozioni tracimano, schiudendosi di fronte alla visione dello spettatore nel nascente rapporto tra le due giovani. Se gli uccelli – se ne vedono molti volare nel cielo del quartiere sopra la testa di Lola e Carmen – sono un simbolo di libertà e di voglia di vivere a cui Lola fa continuo riferimento nei suoi graffiti e disegni, la metafora più forte e sottotraccia di Carmen y Lola è l’acqua che diventa l’elemento di vita, di produzione di senso e di erotismo, di luogo di (ri)nascita per le due ragazze.
Il primo incontro di Lola e Carmen avviene al mercato durante un improvviso temporale, dove l’acqua pervade la scena e compie quasi un battesimo panteistico sulle due giovani. C’è poi il suono dell’acqua (appena accennato, in modalità extradiegetica), quando Lola insegna a nuotare Carmen in una piscina vuota e abbandonata, in cui il loro amore matura e la forza del sentimento riesce a modificare la percezione della realtà. E, infine, la scena finale, dopo lo scoppio dello “scandalo” in senso pasoliniano, la disperazione e il ripudio da parte del padre e della madre di Lola e la fuga al mare, con le due ragazze che corrono verso l’acqua e l’alba, su una spiaggia deserta, verso un futuro migliore e di realizzazione di sé.
Presentato con successo alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes del 2018, vincitore di due premi Goya (per l’esordio alla regia e a Carolina Yuste come attrice non protagonista) e acclamato in diversi festival in giro per il mondo, Carmen y Lola è un’opera già matura in cui la regista riesce in modo magistrale a bilanciare il senso della narrazione con la forma delle immagini, in una rappresentazione del potere dell’amore come sentimento di liberazione dalle catene di una colpa indotta dalla società. Un film da non perdere che riesce a raccontare con un afflato poetico le più pure emozioni di due giovani donne che attraverso il loro desiderio dell’una e dell’altra entrano prepotentemente nell’età adulta
L’intervista di Taxidrivers alla regista