Oggetto non ben identificato Love me not, la parabola antimilitarista del 70enne Lluís Miñarro, al suo secondo lavoro in veste di regista, ma noto e irriverente produttore, mentore, tra gli altri, di Albert Serra. Adattamento della tragedia biblica di Salomè nella versione di Oscar Wilde, Love me not si espande e si comprime nel deserto incontaminato e occupato iraqueno, temporalmente proiettati poco prima del conflitto Bush-Blair, con un Giovanni Battista alias Yokanaan (Oliver Laxe, regista di Mimosas) identificato nella tuta arancio dei terroristi di Abu Ghraib.
Ipnotizzati da una Salomé davvero magnetica, perno di tutto il film, casta nella tuta mimetica e piena di curioso desiderio nel fascino ipnotico di Ingrid García-Jonsson, figlia dell’impotente colonnello Erode-Antipas (Francesc Orella), ci immergiamo nei dialoghi machisti, sessisti, dentro uno sfondo velatamente omosessuale, cinico, lascivo e spento, ben incarnato nell’abile e talentuoso cameo di Erodiade- Lola Dueñas, lupa che nutre le voglie sessuali dei soldati, bevendo, disprezzando ed umiliando l’impotente marito.
Questa trasposizione mistificata in cui Salomé, attratta dalla bocca di un Giovanni Battista vate della fine del mondo e dei tempi, della mescolanza del bene col male, dell’inferno col paradiso e succube del suo rifiuto di cedere alla irresistibile tentazione che la donna incarna, ne chiede la testa dopo un ballo irresistibilmente puro ed erotico, si farcisce di una notevole fotografia, di estensioni paesaggistico-visive e visionarie che inglobano una sostanza capace di farsi carne solo a metà.
Nei dialoghi surreali sulla guerra, sulla civiltà occidentale già morta e malata che porta la cd. educazione e il cd. progresso agli zotici arabi, nel progresso sporco e vecchio, specchio anche dei pensieri sul cinema, sul sesso, affibbiati a Hiroshima e Nagasaki, due soldati messicani, i soli difensori dell’America e della democrazia, Lluís Miñarro circonda il mondo che rappresenta di un alone disturbante, provocatorio, ma fine a se stesso.
Dedicato a Douglas Sirk, diviso in due atti e un micro epilogo che ci porta in America Latina, dentro un bar-disco per omosessuali e transgender, Love me not si chiude con un altro ballo irresistibile della moderna Salomè davanti al suo ‘padre colonnello’, nella miseria umana di solitudine e disinganno. Presentato in prima mondiale al Festival di Rotterdam, sbarca al Sicilia Queer Festival, pronto a stupire i suoi spettatori.