Il figlio Roberto e sua moglie Cristina raccontano Tommaso Buscetta in un documentario
Dopo anni passati a nascondersi dai sicari di Cosa Nostra, la famiglia di Tommaso Buscetta ha accettato di apparire in un documentario. Non c’è soltanto Il traditore, il film di Marco Bellocchio sul più famoso pentito di mafia presentato all’ultimo Festival di Cannes. Su Netflix da Settembre
Dopo anni passati a nascondersi dai sicari di Cosa Nostra, la famiglia di Tommaso Buscetta ha accettato di apparire in un nuovo documentario.
Non c’è soltanto Il traditore, il film di Marco Bellocchio sul più famoso pentito di mafia presentato all’ultimo Festival di Cannes.
Roberto Buscetta e sua madre Cristina, che per trent’anni si sono celati sotto false identità, mentre undici dei loro più stretti familiari venivano assassinati dalla mafia, sono stati rintracciati in Florida dai cineasti Max Franchetti e Andrew Meier il cui documentario Our Godfather: The Man the Mafia Could Not Killè in onda in streaming su YouTube dallo scorso fine settimana e dal prossimo settembre sarà disponibile sulla piattaforma Netflix.
Inizialmente riluttanti: “Uccidere il figlio di Tommaso Buscetta sarebbe il trofeo perfetto“, ha spiegato Roberto, ricordando che le testimonianze di suo padre nel maxiprocesso di Palermo e a New York con la “Pizza Connnection” a metà anni Ottanta hanno portato alla condanna di centinaia di mafiosi.
Trovare i Buscetta sembrava impossibile.
Franchetti e Meier ci hanno messo due anni. Cristina, la terza moglie brasiliana del pentito, e i suoi familiari più stretti avevano vissuto sotto falso nome e in diverse località per oltre 30 anni dopo l’ingresso di Tommaso nel “Witness Protection Program”. Lisa, la sorellastra di Roberto che appare anche lei nel documentario, ha detto di aver pronunciato il cognome Buscetta per la prima volta nella vita:
“Ne andava la sicurezza della famiglia“.
A complicare la ricerca era il fatto che molti agenti che avevano protetto i Buscetta negli anni o non erano interessati o erano morti. Molti avevano perso i contatti da anni. La soluzione è arrivata con una mail spedita nel 2015 a un vecchio indirizzo che forse era stato usato dalla famiglia. Dopo tre settimane di silenzio, Cristina aveva risposto, incuriosita.
La moglie del pentito racconta nel documentario quanto sia stato difficile per Tommaso rompere il codice dell’omertà:
“La decisione più sofferta della sua vita“
Buscetta, morto di cancro nel 2000 a 71 anni, fu sepolto sotto falso nome in un cimitero di North Miami.
Cristina e Roberto hanno incontrato i cineasti nel Maggio 2015 in Florida, presente come testimone l’agente della Dea Anthony Petrucci che per anni aveva protetto la famiglia.
Alla fine Cristina ha accettato di farsi riprendere, mentre Roberto, che sotto falso nome ha fatto il soldato in Iraq e Afghanistan, ha chiesto di non usare i suoi alias e di tenere il volto parzialmente in ombra. Non è stata comunque una decisione facile: “C’è sempre un rischio, la mafia non perdona“.
L’edizione 2020 dei David di Donatello è stata senza dubbio più unica che rara: un solitario Carlo Conti a condurre, le statuette in bella mostra nello studio di via Teulada a Roma e i protagonisti in collegamento da casa. A trionfare è stato Il Traditore di Marco Bellocchio, premiato come miglior film e che mette in bacheca anche il miglior attore protagonista, andato a Pierfrancesco Favino.
Il traditore: il film di Marco Bellocchio è una lectio magistralis sulla psicopatologia della criminalità organizzata
15 Luglio, Santa Rosalia. Casa sul mare, i boss di Cosa Nostra festeggiano insieme alle famiglie. Si balla, si canta, tra patti silenti e nuove difficoltà familiari. Omicidi a orologeria cominciano a scandire i giorni dell’anno, mentre dal contrabbando di sigarette si è passati negli anni Ottanta al traffico di eroina di cui Palermo è il capoluogo mondiale. Troppi soldi che basterebbero ad arricchire tutti per generazioni, ma i corleonesi vogliono il potere, perché secondo Totò Riina “comandare è meglio che fottere”.
Tommaso Buscetta, nato ad Agrigento, marito a 16 anni, inizia a spostarsi in Argentina, poi torna in Sicilia, dopo in Messico e, infine, prima dell’estradizione in Italia, in Brasile. Diciassettesimo figlio, tre mogli, otto figli, Don Masino si definisce un soldato di Cosa Nostra, un semplice esecutore, un uomo d’onore e di patti. Arrestato in Brasile, sottoposto a torture, estradato in Italia, diventa un collaboratore di giustizia, interrogato da Falcone, diventa “il traditore”. Il soldato definisce la mafia un’invenzione giornalistica e rifiuta la definizione di “pentito”. Non è affatto pentito della sua appartenenza a Cosa Nostra, sembra piuttosto un nostalgico della sua versione originaria prima dell’intrusione dei Corleonesi. Cosa Nostra non avrebbe ammesso alcuna violenza su donne e bambini, mentre la nuova versione prevede lo sterminio della “semenza” delle famiglie rivali, senza limiti di età e di sesso.