«“Un uomo con le ovaie”, per dire un uomo forte, determinato? Mai sentito? Sicuramente no. “Una donna con le palle”, per dire una donna forte, determinata? Mai sentito? Sicuramente si, molte volte…»
Gustav si indigna mentre Luca si esprime in questo modo per descrivere una donna. Trova fastidiosamente maschilista questo modo di dire diffuso e dalla divertente gag tra questa coppia che si ama da 20 anni parte lo spunto pretesto per affrontare la tematica del fallocentrismo imperante. Si, maschilismo e omofobia sono sicuramente il risvolto della stessa medaglia e inizia così un tour tra Roma, Venezia, Barcellona, feste di paese, ascoltando gente comune, femministe, porno attori, scrittori, intellettuali, politici, sociologi, professori. Luca vuole sposarsi, ma Gustav non sopporta l’idea di convogliare a nozze con un compagno così inconsapevolmente maschilista. Ritiene opportuno, pertanto, condurlo a una serie di incontri, prove, test, esperienze che possano illuminare l’oscurantismo fallico che lo pervade. Decide così di sottoporlo ad un test alla Bicocca di Milano; di fargli incontrare un sociologo americano che gli racconta esperimenti con le scimmie; di accompagnarlo a una processione fallica dove si svolge un concorso di misure priapiche e a esperienze dove vestire lo stesso neonato una volta da femmina una volta da maschio comporta atteggiamenti, commenti e reazioni opposte. Anche il convegno sulla famiglia evidenzia quanto le donne siano le prime a definirsi semplicemente da supporto agli uomini che devono gestire e rappresentare il potere.
Il viaggio di Gustav e Luca, ironico, sarcastico e tragicomico ricorda per alcuni aspetti il meraviglioso Comizi d’amore di Pierpaolo Pasolini, che nel 1964 passava in rassegna le abitudini, i tabù sessuali, l’ignoranza e i moralismi, l’omofobia e il maschilismo di un’Italia del passato ancora così tristemente contemporanea. Solo apparentemente la cultura sembra cambiata e la dimostrazione per gli autori è la vittoria alle presidenziali degli Stati Uniti di Donald Trump, non meno maschilista e omofobo del nostro Silvio Berlusconi, e dell’attuale vicepresidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. Un retaggio politico che riconduce a una concezione sessuale predatoria del maschio mussoliniano che evidenzia una cultura fallocentrica latente, insidiosa, cromosomica.
Gustav potrà sposare Luca solo dopo che il compagno proverà un rigurgito dettato dalla nausea di una cultura testosteronica, gerarchico-politico-reazionaria, laddove il femminile e l’omosessuale sono portati a interiorizzare un ruolo che subordina, esclude, classifica insinuando il senso di colpa di essere altro da ciò che si dovrebbe. Il “secondo sesso” di appartenenza femminile per dirla la De Beauvoir è ormai tutto ciò che non è maschio, bianco, presunto eterosessuale. Le sovrastrutture politico, sociali e culturali sono determinate da quella struttura fallocentrica che vede nel materialismo del maschio la violenza di un potere così univoco da non considerare se non negare qualunque alterità. Quel senso unico strutturale determinato dal fattore testosterone si arroga il diritto si autocelebrare il monumento a Priapo. L’ontologia del maschio erige l’obelisco sulla presunta onticità dell’altro: “Presumo ergo sum”, ecco il motto virile del “celodurismo”. Sconcertante il voto di molte donne a esponenti politici di questo calibro.
La risposta che Gustav cerca di confondere attraverso un provocato disturbo al microfono è quella del porno attore Rocco Siffredi, quando descrive la ricerca della sottomissione sessuale da parte della donna, senza capire che un effetto ha sempre una causa: l’interiorizzazione della subordinazione. Stesso motivo per il quale molti omosessuali sono cattolici (dico cattolici e non cristiani), nonostante il misconoscimento della Chiesa, perché hanno interiorizzato il senso di colpa a loro totale insaputa. Soflocle lo diceva più di 2500 anni fa: “Avere il pene significa essere incatenati a un folle“, e a questa specifica follia abbiamo consegnato irresponsabilmente il mondo.
Gustav scopre anche che Elena Lucrezia Cornero era un’erudita veneziana, prima donna a ottenere un dottorato al mondo nel 1678, in Filosofia, dopo che il cardinale Gregorio Barbarigo si fosse opposto alla sua laurea in Teologia considerandola “uno sproposito” per una donna. E mentre a molti personaggi affetti da cultura machista sono stati dedicati monumenti, strade, memorie, la prima laureata è stata celebrata dall’enciclopedia dell’oblio. E la crisi dell’uomo contemporaneo? Come reagiscono gli uomini di fronte all’emancipazione femminile, nonostante il continuo ricorso alla creazione di veline, letterine, olgettine, ombrelline? Luca e Gustav non esitano a indagare il sessismo italiano e non solo e a cercare di individuarne le responsabilità della politica, della scuola, dei media, delle famiglie e delle istituzioni, dell’economia.
Dicktatorship di Gustav Hofer e Luca Ragazzi è una docu-commedia estremamente divertente e suggestiva, che non esita a denunciare la tendenza a considerare normale quello che la pigrizia morale evita di modificare. Il ruolo non può cancellare le differenze individuali, mentre la normalità traduce l’esistente in norma e fa assaporare quella impossibilità della trasformazione che è invece la prima caratteristica dell’uomo che, per questo e non per altro, a differenza dell’animale, ha una storia. Questo emerge dal documentario di Luca e Gustav, ovvero la necessità di non essere “ipnotizzati” in un meccanismo culturale che anestetizza la reazione e la denuncia, soprattutto laddove il linguaggio non riproduce ma distorce la verità, quella stessa verità che non ha altro modo di dirsi se non nella distorsione linguistica: quindi attenzione alle parole e alla non coincidenza irriducibile tra significante e significato.
Dire “è una donna con le palle” vuol dire fare del femminile “il prodotto di una società maschile”, dice Adorno nei Minima Moralia, “là dove finge di essere umana, la società maschile educa nelle donne il proprio correttivo, e rivela, attraverso questa limitazione, il suo volto di padrone spietato. Il carattere femminile è il calco, il negativo del dominio: ed è quindi altrettanto cattivo”: è la cicatrice di un mutilazione sociale, una castrazione, una semplice oggettivazione alla quale le nature femminili si conformano senza eccezione. Per Adorno come per i nostri autori, la vera liberazione sarebbe la fine della della fabbricazione artificiale di una superiorità presunta per mano della quale deriva l’umiliazione di chiunque non vi apparterrebbe.