X-Men: Dark Phoenix, scritto, diretto e prodotto da Simon Kinberg, da tempo alle prese, in qualità di sceneggiatore, con le versioni filmiche sulle storie dei mutanti della Marvel, è l’ennesimo episodio incentrato sui personaggi a fumetti degli X-Men della celeberrima casa editrice di comics americani. Per la precisione, la storia si basa sulla Saga di Fenice Nera, ed è il sequel di X-Men – Apocalisse, nonché dodicesimo film dell’universo X-Men. La trama ruota tutta attorno alla telepate (o esper, per utilizzare un più sofisticato gergo paranormale) Jean Grey (Sophie Turner), la quale sviluppa degli incredibili poteri psichici che finiscono per corromperne la mente, trasformandola nella temibile Fenice Nera.
Gli addestramenti tra le pareti della Scuola per Giovani Dotati creata da Charles Xavier, sotto la supervisione del brillante Professor Bestia, hanno dato i loro frutti: i mutanti non sono più la indisciplinata classe di un tempo, ma un collaudato team meglio conosciuto come X-Men. Xavier li incoraggia costantemente a usare i loro poteri per compiere azioni spericolate e sensazionali, sino a quando, durante una missione nello spazio, un inspiegabile incidente rafforza spaventosamente le capacità di Jean, alterandone però il carattere. Infatti, quella che era prima una ragazza dolce e sensibile perde gradualmente il controllo di se stessa, compiendo gesti impulsivi, mettendo così in serio pericolo la incolumità dei suoi compagni e dell’intera Umanità. Nel frattempo, un alieno mutaforma, intenzionato a sfruttare la situazione a suo vantaggio, cerca di irretire la giovane e confusa Jean e convincerla ad assumere stabilmente la identità distruttrice della Fenice.
X-Men: Dark Phoenix si ispira, come detto, direttamente alla omonima serie a fumetti della Marvel. Il personaggio della Fenice è apparso per la prima volta nel 1976. Trattasi di una creatura astrale che vaga per l’Universo, scegliendo di volta in volta una nuova specie vivente da possedere. Negli albi della Marvel, Jean Grey è il primo personaggio a “ospitare” la Fenice, cosa che ne aumenta enormemente le capacità di telepatia e telecinesi, in concomitanza con la perdita di coscienza e, specialmente, di qualsiasi autocontrollo.
Le vicende narrate nel film si ambientano negli anni ’90, quindi si continua anche in quest’ultimo capitolo a raccontare la formazione e le prime avventure di questo assai composito gruppo di mutanti. Ciononostante, e differentemente da quello che avverrà in seguito, in questo periodo gli X-Men non sono ancora nettamente divisi tra “buoni” e “cattivi”, anzi, sarebbe più filologicamente esatto dire tra “pro o contro” umani. Tale aspetto ha facilitato una rappresentazione di personaggi dal carattere sfaccettato, evitando almeno in parte la tipica visione manichea della cinematografia statunitense, in particolare per quanto riguarda la dualità quasi esasperata palesemente incarnata dal personaggio di Jean. Eppure, è a nostro avviso ancor più intrigante il proporre in questo film una versione di un Dottor Xavier “politico”. Sarebbe a dire, che in X-Men: Dark Phoenix viene avanzata una decisamente inusuale – per i canoni di Hollywood, sovente inclini allo stereotipo – interpretazione di questo geniale scienziato che ha ben poco del filantropico, come invece siamo stati abituati a vederlo. Egli agisce secondo una sua personale “agenda”, arrivando persino a manipolare quei compagni nei confronti dei quali costui si è autoproclamato leader. In questo, la pellicola di Kinberg si distanzia parecchio dai soliti, e oramai insopportabilmente scontati e ripetitivi, prodotti filmici sui comics. Nondimeno, la qualità di questa opera non sta solamente nella buona costruzione dei vari protagonisti e del modo che hanno di interagire tra di loro, poiché è la narrazione in sé che è abilmente orchestrata. Il film diventa sin da subito avvincente e movimentato, cosa che sorprende poco, considerato il tema che affronta. L’aspetto maggiormente positivo è che ciò avviene senza smarrire il racconto, non sacrificandolo pertanto sull’“altare della azione”.
Va da sé, che pure in questa pellicola sopraggiunge, quasi fosse una immancabile sentenza, la problematica legata alla continuity. Ma si sa che questi particolari prodotti cinematografici sono indirizzati a un pubblico che in prevalenza i fumetti li legge poco o niente. A pensarci meglio, è la medesima situazione che ci viene offerta due volte l’anno dalla fiera Romics nella Capitale. Il fumetto è già da tempo un fenomeno “crossmediale”, per dirla con i vacui termini della moderna Sociologia della Comunicazione. Ragion per cui, che si rispetti una coerenza nella storyline di un determinato personaggio o testata a fumetti non interessa proprio a nessuno, a cominciare dai produttori d’Oltreoceano. Ecco perché alla fine queste pellicole si assomigliano tutte, avendo per giunta inflazionato il panorama della Settima Arte con delle storie di una stolidità sinceramente deprimente, la quale si manifesta altresì in una compulsività nel reiterare gli abituali cliché su ciascun supereroe; segno, questo, di una non lucida scrittura, viziata probabilmente da una frenetica cupidigia. Per capirci, se Tony Stark – con o senza armatura – non dice una qualche fesseria come minimo ogni quindici minuti, beh, allora dobbiamo iniziare a dubitare che quello che stiamo vedendo sia Iron Man. Effettivamente, non possiamo affermare che una opera come X-Men: Dark Phoenix non rientri anche essa in questo discorso. D’altronde, esclusi quelli diretti da Christopher Nolan, oggi i film ripresi dai comics si fanno così; male, malissimo per quanto ci riguarda, ma il botteghino ci smentisce sonoramente ogni volta.
Concludendo, abbiamo evidenziato come la pellicola di Kinberg presenti qualche feconda difformità rispetto al resto della produzione filmica dell’Universo Marvel. Un ultimo e molto efficace esempio sta nell’aver affrontato in modo diretto il dramma individuale nella gestione dei “poteri”. Si badi bene però, in questo caso non ci riferiamo alla deteriore concezione di Stan Lee: “supereroi con superproblemi”, che ha sostanzialmente demitizzato i comics, proiettandoli nell’anonimato della attualità; se Peter Parker riesca a pagarsi o meno le tasse universitarie dovrebbe importare zero! In X-Men: Dark Phoenix si affronta tale argomento da un’altra prospettiva, decisamente adulta e cupa. I protagonisti di questa storia non sono simpatici, né tantomeno eroici. Perciò verrebbe da dire che sono più “umani”, in totale sintonia con i dettami indicati decenni or sono da Lee? No, giacché i loro patimenti rimandano sempre a questioni generali, quando il “superpotere” ti fa diventare un personaggio pubblico, impedendo il normale scorrere della vita. Di conseguenza, dal soggettivo si passa all’oggettivo, che è l’esatto opposto di quello che voleva Lee. Se distruggi mezzo isolato, perché bisticci con un compagno mutante, poi la gente che vi abita giudicherà quello. Alla stessa stregua della politica, sono i risultati delle azioni che contano.