Ispirato alla storia del più longevo prigioniero d’Argentina, Carlos Robledo Puch, condannato per l’omicidio di undici persone nei primi anni Settanta e noto con l’appellativo “l’angelo nero”, L’angelo del crimine segue le vicende di Carlitos (un sorprendente, al suo esordio, Lorenzo Ferro), un diciassettenne di bell’aspetto e sicuro di sé, con la vocazione al crimine, provvidenziale figlio di una coppia non più così giovane, né benestante.
Classe 1980, Luis Ortega (regista e co-sceneggiatore) realizza un’opera eccentrica, a tratti surreale, interessante e profondamente intrisa di quel mood tipico della cinematografia latina, in grado di raccontare la società di oggi – o di ieri, come in questo caso, essendo il film ambientato nel 1971 – con uno sguardo divertito eppure impietoso, facendo sì che emerga tutta la brutalità, l’insensatezza e la pericolosità di alcuni gesti. Ed è appunto il candore e l’impassibilità con cui Carlitos li compie a destabilizzare sin da subito: non è questione di coscienza, né di presa di posizione politica, laddove il giovane sembra agire spinto da un disegno divino che gli è stato assegnato e di cui non ha minimamente colpa. Difficile a tal punto entrarci in sintonia, empatizzare o anche solo tentare di comprendere, per cui ci si ritrova in balia degli eventi ed è un turbinio di follia, sempre magistralmente accompagnato da una colonna sonora coi fiocchi. Le versioni spagnoleggianti di Non ho l’età e House of the rising sun deflagrano mentre scorrono sullo schermo le immagini di alcuni dei momenti più importanti per quanto riguarda il percorso del protagonista.
Fulcro (e cuore) della pellicola, il rapporto tra Carlitos e Ramon (Chino Darin) permette di indagare le personalità in campo, dalle motivazioni alle aspirazioni, frutto di un passato e una famiglia alle spalle in qualche modo agli antipodi. Ciò che colpisce a un livello più profondo è la tensione, l’elettricità che si viene spesso a creare tra i due, così differenti tra loro da un punto di vista puramente estetico e complementari da quello narrativo. Ed è la bravura e l’affiatamento tra Ferro e Darin a fare il resto. Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2018, L’angelo del crimine è un divertissement a tutti gli effetti, sostenuto, tra le altre cose, da un buon ritmo, un’ottima sceneggiatura – grazie alla quale si ride anche di gusto – ed uno stile di regia molto pop.