Ludwig, un film del 1973 diretto da Luchino Visconti sulla vita di Ludovico II di Baviera. Interpretato da Helmut Berger, Romy Schneider, Trevor Howard e Silvana Mangano, è il terzo e ultimo film della “trilogia tedesca”, di cui fanno parte anche La caduta degli dei (1969) e Morte a Venezia (1971). Alla prima uscita, nel gennaio 1973, il film uscì in un’edizione della durata di soli 150 minuti. Nel 1980, quattro anni dopo la morte di Visconti, i materiali del film vennero battuti all’asta e furono comprati dagli amici del regista (tra cui la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico e il montatore Ruggero Mastroianni) che ripristinarono la versione originale del film di 237 minuti e la presentarono al Festival di Venezia. Nel documentario inglese The Life and Times of Count Luchino Visconti (2003), lo sceneggiatore Enrico Medioli afferma che fu a causa del brusco cambiamento climatico (dal freddo dei paesi austriaci in cui il film venne girato al caldo torrido delle sale di Cinecittà dove avvenne il montaggio) che il regista si ammalò fatalmente. Ludwig ha ricevuto una nomination agli Oscar per i costumi (Piero Tosi) e ha vinto tre David di Donatello e tre Nastri d’Argento. Le musiche sono di Robert Schumann, Jacques Offenbach e Richard Wagner.
Sinossi
Il giovane Ludwig, re di Baviera, ha un progetto ambizioso: essere, per i suoi sudditi, un monarca illuminato sul modello dei regnanti rinascimentali. Ospita Richard Wagner, fa costruire un teatro per rappresentare la sua musica, quel sogno di “opera d’arte totale” del musicista ormai privo di scrupoli. Ludwig, emarginato dal governo e disilluso dal tradimento di Wagner, inizia un’esistenza da esteta decadente, tossicodipendente innamorato del bello e amante dei suoi camerieri.
Punto di non ritorno della cinematografia viscontiana, Ludwig è la seconda parte del testamento artistico del regista-conte. Della terna di film-summa aperta da Morte a Venezia e chiusa da Gruppo di famiglia in un interno, Ludwig è il capitolo più indirettamente autobiografico rispetto agli altri due, più smaccati e plateali nell’identificazione dell’autore col personaggio principale. Tuttavia non si dovrebbe giudicare un’opera d’arte in relazione alla biografia dell’autore e il giudizio sul film in sé deve essere necessariamente e il più possibile oggettivo. Il protagonista è in ogni caso un carattere adattissimo alla fase estrema del cinema di Visconti, votato alla rappresentazione della decadenza di un mondo, di una storia, di una visione. Ludwig, regnante rinascimentale salito al trono al tramonto del suo mondo d’origine, è il re dei disadattati, la persona sbagliata nel posto sbagliato, un ragazzo devastato dal suo ineluttabile destino. Visconti lo rappresenta in una parabola di discesa agli inferi della carne debole e degli intrighi di palazzo, ponendolo al centro di un discorso sull’impossibilità della fuga e della redenzione se non col sacrificio. Personaggio controverso, amato, deriso e detestato, Ludwig è l’oggetto di una sorta di inchiesta in cui intervengono i suoi ministri e collaboratori, tutti traditori (tra cui un finissimo Umberto Orsini), che si rivolgono in prima persona allo spettatore (unico giudice della Storia) nell’intenzione di tracciare un ritratto quanto meno fosco delle gesta del sovrano. Al di là della degenerazione trionfante nella seconda parte, il film è in fondo il racconto di una manciata di amori impossibili del disastrato Ludwig: quello con l’idea di un regno votato all’arte e alla bellezza; quello che lo lega alla musica dell’opportunista e subdolo Richard Wagner (Trevor Howard; la sua amante è Silvana Mangano); quello mai nato con la promessa sposa mai amata neppure per un secondo (Sonia Petrovna); e, soprattutto, quello malato e tormentato nei confronti della cugina Sissi (in un caso quasi unico di ritorno sul luogo del delitto, la stupenda Romy Schneider ripropone il suo personaggio-mito, ma in una veste meno angelicata e più inquietante). Film più melodrammatico che politico (il giudizio sull’operato di Ludwig sta allo spettatore, quello sugli affetti e sulle passioni non può compiersi perché ingiudicabili), è un fluviale (più di quattro ore) romanzo intimista en plein air interessantissimo per la sua capacità di mantenere alto il ritmo dello spettacolo nonostante l’infinita durata, per l’armonia e il gusto del racconto popolare in una tragedia di palazzo (e il merito è soprattutto di Suso Cecchi D’Amico ed Enrico Medioli) e per lo splendore squisitamente figurativo (fotografia di Armando Nannuzzi, scene di Mario Chiari, costumi di Piero Tosi nominati agli Oscar). Helmut Berger nel ruolo della vita, naturalmente.