Primo lungometraggio di Jérémy Clapin, dopo un’esperienza in corti, che per J’ai perdu mon corps (I lost my body) sceglie l’animazione e mette in scena una storia tratta dal romanzo Happy Hand di Guillaume Laurant, con cui firma la sceneggiatura. Premiato con il Nespresso Grand Prize, J’ai perdu mon corps sarà proiettato al Festival di Annecy a Giugno dove concorrerà nella sezione ufficiale.
Un ragazzino vive felice e spensierato con due genitori che lo adorano e lo esortano a coltivare i suoi sogni. Da grande vorrebbe fare l’astronauta o il musicista, ma intanto utilizza il suo estro e la sua curiosità per registrare i suoni che lo circondano, la notte, la natura, sua madre che si esercita al violoncello.
Purtroppo la sua infanzia si conclude bruscamente con la perdita dei genitori a seguito di un incidente stradale. Va a vivere da alcuni parenti, in un quartiere piuttosto malfamato ed è costretto a mettere da parte i sogni e il talento per consegnare pizze a domicilio. Una notte, l’ennesima in cui il lavoro gli va storto e sente la pressione del suo capo, si imbatte in Gabrielle, con cui intreccia una conversazione al citofono. Quando riesce a rintracciare la ragazza, per starle vicino, si fa assumere dallo zio di lei, che ha una vecchia falegnameria malmessa e si trasferisce da lui, liberandosi della vita cupa che conduceva. Nonostante la poca esperienza con legno e arnesi, il nostro eroe diventa ogni giorno più bravo e capace, fino a un brutto incidente che lo priva completamente della mano. La mano, quando si risveglia, si accorge che le manca il corpo a cui era stata attaccata e inizia una lunga odissea per la città al fine di raggiungere il suo corpo. Il film inizia dall’incidente del protagonista, Naoufel, e percorriamo in parallelo sia la sua infanzia che la vita che faceva prima di incontrare Gabrielle e la costruzione del suo rapporto con lei.
La sceneggiatura è attenta a ogni dettaglio, adombrando con sapienza, e senza essere scontata, i punti cruciali della storia, il tutto messo in scena da un’animazione accurata, realizzata in 3D (e i disegni in 2D), che ci restituisce immagini a volte violente ma necessarie alla storia. J’ai perdu mon corps è il racconto urbano, moderno, sul destino e sulla resilienza, che ci spinge a cambiare le cose osando e andando verso ciò che non conosciamo, esattamente come fa Naoufel, che rintraccia Gabrielle attraverso l’elenco del telefono, la segue, e il pedinamento lo porta alla falegnameria dello zio e a un vecchio annuncio con cui cercava un apprendista.
Intenzione di Jérémy Clapin era quella di far dimenticare che siamo in una storia d’animazione (e ci riesce benissimo). La sfida era quella di mostrare una mano, il suo comportamento, il suo sguardo nei confronti del mondo che la circonda, le emozioni e le paure che prova, senza il corpo che la protegga e la faccia sentire sicura. Gli stessi sentimenti che prova Naoufel, da quando ha perso il sostegno e l’amore dei suoi genitori. Eppure, così come una mano senza il suo corpo può decidere di cambiare il suo destino, così come può farlo Naoufel, che senza alcun sostegno riesce a ripartire da zero e costruirsi una nuova vita, così possiamo farlo tutti, scegliendo, non senza un pizzico di incoscienza, di andare verso ciò che non conosciamo.