Non poteva scegliere periodo più fertile Celine Sciamma per portare a Cannes un’opera come Portrait de la jeune fille en feu, presentato in Concorso, nella selezione ufficiale. L’autrice francese costruisce una coinvolgente storia d’amore che le consente di spaziare nell’esplorazione di tutta una serie di aspetti profondi e complessi della relazione e di un sentimento così vasto e articolato, inserendola in un discorso più ampio, assolutamente in linea con il clima di mobilitazione attuale che riflette, in modo forse un po’ troppo ostentato per quanto lo faccia superbamente attraverso una regia abilissima e quanto mai elegante, sull’emancipazione femminile e sulla libertà della donna di esprimere se stessa e di vivere il proprio corpo e la propria sessualità. Si muove quindi su due piani Celine Sciamma, uno sociale, di denuncia, e l’altro molto più intimo e personale, quello che costituisce sicuramente la componente migliore dell’opera, nel quale percorre e scruta tutti gli anfratti della reciprocità, immergendo lo spettatore in un flusso percettivo e sensoriale intenso, che lo porta a vivere le sensazioni descritte come se fosse all’interno del film. L’aspetto percettivo riguarda tutti i sensi, se non in modo letterale, di sicuro la regista riesce a evocarli nell’immaginario, mentre assolutamente reale e concreto è lo stimolo della percezione visiva, agevolata da un’estetica perfetta e dalla scelta di un’ambientazione e di un periodo storico che ne favoriscono la stimolazione continua e appagante.
La storia è ambientata nella Bretagna del 1770 e racconta l’incontro tra due bellissime donne, Eloise e Marianne, interpretate rispettivamente da una meravigliosa Adèle Haenel, che offre una prestazione straordinaria, bucando letteralmente lo schermo, e da Noémie Merlant, anche lei perfettamente in parte. Due donne con una forte personalità ma molto diverse tra loro, un incontro tutto istintivo, sentito, che si nutre prevalentemente di ciò che passa dalla pancia, molto poco mentale; ed è lo stesso modo in cui arriva a chi guarda il film, si riflette poco e ci si lascia trasportare dalle sensazioni, la capacità dell’autrice e del cast di creare questo vissuto è certamente il pregio maggiore. Evidentemente dotata di una sensibilità non comune e dell’abilità di esprimerla in modo efficace, cogliendo gli elementi più intimi e facendo risuonare corde che abitano qualsiasi essere umano in grado di provare curiosità, attrazione, di amare e di fondersi con un altro essere umano, la Sciamma si ritrova perfettamente a suo agio in un ambito che si percepisce chiaramente appartenerle ed essere un territorio a lei congeniale. È davvero notevole l’intensità con la quale le due protagoniste si scoprono, come i loro personaggi riescono a trasmettere come il progressivo vedersi, accedere l’un, l’altra, consenta a entrambe di superare le loro difese e di innamorarsi. Marianne è una pittrice cui viene dato l’incarico di ritrarre Eloise, ma non riesce a farlo sino a quando non diventa in grado di accedere a quello che sente; lo sviluppo di empatia reciproca diventa un aprirsi comune e sincrono, una compenetrazione che ricorda una melodia emessa da più strumenti che man mano che suonano insieme sono sempre più in sintonia tra loro, fino a fondersi in un unico suono. Una sintonia che come in tutti gli innamoramenti si raggiunge in poco tempo e che, proprio per l’intensità dell’attrazione reciproca e della potenza dei vissuti motivi che suscita, induce delle difese e degli istinti di autoprotezione non troppo efficaci, che non fanno altro che testimoniarne e confermarne la forza e il potere di trascinamento. Tutte dinamiche note, che chiunque può riconoscere e in cui può facilmente identificarsi, ma per niente facili da restituire e trasmettere con tanta autenticità.
Come accennato precedentemente, un difetto che si può riconoscere al film, senza togliere nessuna importanza a una tematica così importante e delicata, è quello di soffermarsi qualche minuto o qualche scena di troppo sull’aspetto riguardante la necessità di affermazione e di affrancamento femminile, dandone un’espressione ostentata che la rende un po’ ridondante e più scontata, elemento che in qualche modo stride con la potente personalità e individualità del resto dell’opera. Ci si riferisce in particolare ad alcune scene in cui si accentuano aspetti che erano già stati espressi abbondantemente e in modo sufficientemente incisivo e sui quali forse si poteva evitare di continuare a indugiare. Mentre nell’ambito di questo discorso appare, invece, molto bello e meno scontato l’utilizzo dell’arte come canale di espressione, anche quando viene limitato, che si estrinseca sia nella pittura che nella musica (in questo caso nella sua percezione e non nella sua creazione, ma comunque come spazio per vivere se stesse), che è rappresentato in modo incisivo e per niente banale. Basti pensare al bellissimo finale. In ogni caso, un film notevole che non passerà di sicuro inosservato e che al momento potrebbe essere uno dei più probabili candidati alla Palma d’Oro e, a giudicare dal lungo e accorato scroscio di applausi che ha ricevuto durante la prima in sala, si aggiudicherebbe anche il favore di gran parte del pubblico.