Pedro Almodóvar con Dolor y Gloria lascia un racconto di vita ed arte, di amore assoluto per il cinema.
Un racconto di struggente malinconia, che ci accompagna sin dalle prime inquadrature e dall’incontro con il suo ‘alter ego’ Antonio Banderas (nell’ottava partecipazione ad un lavoro del regista spagnolo).
La trama
Salvador Mallo è un regista cinematografico consumato negli anni e nella sua arte. Afflitto da un dolore costante e variegato nel corpo, dalla depressione nella mente. Il primo, curato con farmaci che a tratti loy stordiscono, il secondo con antidepressivi e nella tappa nella stagione dell’infanzia, nei ricordi che lo cullano e lo portano ad una dimensione ormai perduta per sempre, l’unica che gli concede pace e una specie di serenità.
Dolor y Gloria: Legame tra arte e vita
Almodóvar è dentro la storia al 100% come lui stesso dichiara: “Le esperienze che Salvador rivive nel ricordo e nella comparsa nel reale di alcuni suoi personaggi fondamentali sono le proprie, eccezion fatta per l’eroina e certi aspetti del confronto con sua madre che non è riuscito ad avere“.
Un film di riconciliazione, nei rapporti sentimentali, artistici, familiari, e soprattutto verso il cinema, la cui manifestazione d’amore è totale. Il legame tra arte e vita, indissolubile: lo smarrimento che può venire dalla crisi di ispirazione, dalla sensazione di non poter tornare sul set per la depressione o per ostacoli fisici, totalmente spiazzante: “La sua paura più grande“, conferma, “Un fantasma sempre presente“.
La veste estetica di Dolor Y Gloria impeccabile nella tavolozza di colori e messa in scena salda e manovrata, questa volta più complice, meno ingannevole formalmente nel melodramma perché impressa di un alone, anche visivo, credibile: la maturità di anni su anni trascorsi, vissuti.
Riversati in una saggezza, un disincanto, che misura i sipari divertenti a cui assistiamo (un decadente regista che si concede per la prima volta all’eroina con il suo attore, un ritratto spassoso di tarda gioventù), che commuove nel ritorno ad un tempo che fu, sfumato e ricco di luce, dove il possibile era impresso nei sogni di un bambino folgorato dal cinema, dagli attori, che amava studiare e scrivere, cullato dall’amore totalizzante di sua madre. Una riflessione che si allarga a tutti noi, specie a chi è giunto o sta giungendo a quel periodo della vita dove ciò che vediamo da lontano supera quello che dovremo ancora vivere. Un sorriso amaro, unito ad una consapevolezza profonda, con la via di fuga dell’arte capace di assemblare, nella scena finale, tutto questo in creazione, rivissuto nel quale perdersi e ritrovarsi per sempre.
Madres Paralelas il ritorno di Almodovar all’;universo femminile