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72 Festival di Cannes: Les Hirondelles de Kaboul di Zabou Breitman e Eléa Gobbe-Mevellec (Un Certain Regard)

Les Hirondelles de Kaboul di Zabou Breitman e Eléa Gobbe-Mevellec è un film che tratta tematiche complesse e profonde riguardanti sia le esperienze individuali che questioni sociali quali, la coppia, la condizione di oppressione e sottomissione della donna, ma anche il vissuto interiore dell’uomo. Da non perdere

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Vedere la lapidazione di una donna in disegni animati dà di una simile aberrazione una percezione potentissima che, se possibile, ne amplifica l’orrore. È soltanto uno degli elementi che al contempo angosciano e commuovono nel bellissimo Les Hirondelles de Kaboul di Zabou Breitman e Eléa Gobbe-Mevellec, presentato nella sezione Un certain regard della 72ª edizione del Festival di Cannes.

I due registi adattano in modo delicato e originale l’omonimo romanzo dello scrittore algerino Yasmina Khadra, pubblicato nel 2002, che racconta la realtà della capitale afgana alla fine degli anni ’90 (estate 1998 per la precisione), allora oppressa dal cieco e soverchiante potere talebano. Una realtà ancora estremamente disturbante, per quanto per alcuni aspetti purtroppo attuale, in cui la legge impone che le donne siano costrette a uscire soltanto se accompagnate e completamente coperte dal burka tradizionale che lascia visibili, e nemmeno totalmente, esclusivamente gli occhi; una realtà nella quale cultura, istruzione, arte e musica sono stati annientate e di cui è rimasto soltanto un vago ricordo. Ma è a partire da quel ricordo, abilmente rappresentato nel film, e dalla forza d’animo di chi non vuole rinunciare alla vita, che si vuole trasmettere la speranza di non dover soccombere e di poter rinascere sulle macerie di un posto apparentemente agonizzante, ma abitato ancora da tanto valore.

“Il faut vivre” affermano più volte diversi personaggi dell’opera, ed è davvero commovente sentire queste parole uscire dalla bocca di quelli più maturi, di un professore la cui università è stata devastata, di un uomo anziano con un occhio solo rimastogli, sfinito da una vita di guerre, che ha ancora il desiderio di cercare un futuro altrove, di riprendersi la sua libertà. “Bisogna insegnare ai bambini a essere liberi. La vita, l’amore, l’umanità.

Ed è mirabile la capacità di rappresentare attraverso degli straordinari disegni, la cui animazione trasuda espressività e anima, questo contrasto tra vitalità rimasta e distruzione. Così, possiamo vedere le rovine della città, colorate da sfumature sbiadite e smorte, senza rinunciare alla presenza costante di un sole che, per quanto non caloroso, ne illumina sempre anche gli anfratti più squallidi o gli individui più infimi, rendendola comunque bella. E possiamo osservare dei meravigliosi contrasti che disegnano le curve e la sensualità di una donna incredibilmente bella rinchiuse dalle sbarre di una prigione in cui a nessuno è consentito parlarle e in cui viene nutrita con un bicchier d’acqua ogni tanto. Riuscire a trasmettere tutto questo, commuovendo e indignando lo spettatore, è davvero un grande merito.

Gli esterni notturni sono altrettanto notevoli, pregni di emotività, di dolore e di desolazione, ma mai totalmente bui, mai privi di colori e di vita, fosse anche quella di un gatto che dorme ma che spicca nel silenzio. Si ha costantemente la sensazione che l’animazione fornisca un di più rispetto a quello che avrebbe potuto dare una modalità di messa in scena tradizionale. Quindi, una sorprendente infusione di dolore, vitalità e speranza insieme, quella di Les hirondelles de Kaboul, che poi sono esattamente gli ingredienti di cui siamo fatti. Perché è difficile sperare, nonostante tutto. Verrebbe da dire che è umanamente impossibile continuare a credere nella vita in un posto dove le partite di calcio allo stadio vengono precedute dalle esecuzioni pubbliche, in cui un bambino, il più piccolo del suo gruppo, può aver voglia di lanciare una pietra per contribuire alla lapidazione di una donna morente mentre i suoi coetanei lo deridono per non essere riuscito a mandarla a segno. E, invece, in questa Kabul ci sono ancora persone che credono, che sperano, che vivono. Che non soccombono alla malattia, a una legge ingiusta e che in qualche modo superano anche la morte.

Un film che tratta tematiche complesse e profonde riguardanti sia le esperienze individuali che questioni sociali quali, la coppia, la condizione di oppressione e sottomissione della donna, ma anche il vissuto interiore dell’uomo, condizionato dal contesto in cui è cresciuto ma nello stesso tempo afflitto dalle contraddizioni e animato dagli slanci più passionali più accorati. Da non perdere.

  • Anno: 2019
  • Durata: 80'
  • Genere: Animazione
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Zabou Breitman, Eléa Gobbe-Mevellec

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