Dopo aver partecipato alla serata di chiusura del Visionär Film Festival, ora che il ritmo frenetico festivaliero è passato e lei è tornata a respirare, ho fatto una chiacchierata con la creatrice e direttrice di questo nuovo evento culturale della capitale tedesca. Francesca Vantaggiato è originaria di Lecce e vive ormai da sette anni a Berlino, dove ha trovato la giusta atmosfera per metter su un festival del cinema tutto suo.
Da dove è nata l’esigenza di creare il Visionär?
Per tanti anni ho seguito i festival da giornalista e mi sono resa conto che molti dei film che vedevo non arrivavano alla distribuzione, rimanevano di nicchia. E allora mi è venuta una gran voglia di portare al pubblico dei film indipendenti che altrimenti non avrebbero visto, e così è nato Visionär. Inoltre, si concentra su opere prime e seconde di registi indipendenti, dove la sfida è ancora maggiore.
E come mai questo nome? Perché un festival visionario?
In un certo senso sì, perché prediligiamo opere di creatori che mostrano di avere una visione particolare, di essere coraggiosi e visionari. E poi anche perché noi stessi seguiamo una certa visione artistica nel processo di selezione, con lo scopo di promuovere nuovi talenti nascosti.
Così da poter dire, anni dopo, “li abbiamo scoperti noi”?
Non tanto scoperti, quanto supportati. Non siamo Cannes, non abbiamo anteprime mondiali! Siamo solo un piccolo festival in una città che ne ospita già tantissimi.
Ma a volte vi capita di mostrare qualche anteprima tedesca o anche solo berlinese?
A volte. Funziona così: quando posso frequento festival maggiori e prendo contatti con i sales agents o con i produttori di film che mi interessano. La nostra è una selezione curata, non c’è una open call, ma scegliamo noi. In genere però abbiamo l’anteprima a Berlino, la tedesca in rari casi, ma a noi non interessa avere grandi anteprime: Visionär è una vetrina, non un trampolino di lancio sul mercato come possono essere la Berlinale o il festival di Monaco, e noi non cerchiamo neanche di competere con loro.
E che riscontri avete avuto finora nella comunità berlinese?
Molto buoni, ma come dicevo prima in questa città ci sono veramente tantissimi festival e ci vuole tempo per affermare il proprio nome.
Magari l’involontario richiamo al famoso Club der Visionäre può aiutarvi a guadagnare popolarità!
Perché no, dovrei parlarne con l’esperto marketing!
Chi altro insieme a te si occupa della gestione del festival?
Siamo un piccolo gruppo fisso: c’è Maria Cera, che scrive anche per Taxidrivers, poi la mia amica Costanza, Chiara che ci ha dato una mano anche con la brochure, e da quest’anno anche un giovane filmmaker, Daniel Sanchez Lopez. Anche se il festival è nato da una mia esigenza personale, la gestione è un lavoro di squadra, un po’ come quando si fa un film: è difficile ottenere un buon risultato da soli, c’è bisogno di un team.
E come mai avete scelto l’Acud Kino come teatro?
Volevamo un cinema indipendente, fuori dalle grandi catene. Il primo anno siamo stati al Babylon, ma abbiamo notato che era troppo grande per noi, soprattutto alla prima edizione, e riempire le sale era impossibile. Il secondo anno ci siamo divisi in tre cinema, il Kino a Neukölln, il City Kino Wedding e l’Acud Kino. Il concetto di portare il festival in giro per la città è bello, simile al Berlinale Goes Kiez, ma siamo ancora troppo piccoli e non abbiamo le risorse né le forze per farlo bene. Per cui abbiamo deciso quest’anno di farlo solo all’Acud Kino, con cui collaboriamo anche per delle proiezioni settimanali, e ci troviamo benissimo.
Oltre ad essere visionario, cos’altro c’è nell’anima di Visionär?
Be’, un altro scopo del Visionär a cui io tengo molto è lavorare sulla parità di genere, perché le donne nel cinema sono tendenzialmente meno rappresentate degli uomini. Non vogliamo però creare una nicchia per le donne e fare un festival femminile, ma dare una vera parità. E quest’anno senza rendercene conto ci siamo ritrovati ad aver selezionato otto registe donne e solo un uomo, che sorpresa! E i due film vincitori sono stati entrambi di donne.
A proposito, da cosa nasce la scelta di dare due premi, uno del pubblico e uno della critica?
Abbiamo voluto coinvolgere anche il pubblico, dargli modo di esprimere la sua voce, perché il pubblico è un elemento fondamentale del cinema.
Così da creare equilibrio e non avere un vincitore unico, che spesso scatena polemiche…
Ma nel cinema si danno sempre un sacco di premi, anche se è vero che per esempio il Leone d’Oro o l’Orso d’Oro lo vince uno solo… Ognuno dei festival più grandi poi ha le sue tendenze, la Berlinale è sempre stata un po’ politica e uno si aspetta determinate scelte, come si aspetta il glamour da Venezia.
Ma il problema del premio è anche che è difficile giudicare l’arte in modo obiettivo, sarebbe come giudicare la bellezza: ciò che è bello per me può non esserlo per te.
Infatti la giuria, seppure composta da persone con alte competenze nel settore, esprime comunque un giudizio basato sul gusto di ognuno dei suoi componenti. E questo lo vedo anche al Visionär, dove abbiamo tre giurati con gusti diversi, e solo tramite discussione e mediazione si arriva a scegliere un film su cui sono d’accordo tutti. Poi il nostro è un festival così piccolo che può permettersi di essere in un certo senso anarchico: facciamo come vogliamo, nessun grosso finanziatore ci impone niente. Vedi, con le ristrettezze economiche viene tanta libertà, che è un lato positivo. E comunque è impossibile accontentare tutti, è impossibile che tutti i film piacciano a tutti… Quindi l’unica via è fare le cose nella maniera più onesta seguendo i propri principi.
E magari ricordare alla gente che dopotutto sono solo dei festival!
Ma c’è chi si fa trasportare dalla passione…
Secondo la descrizione ufficiale, Visionär non si occupa solo di cinema ma di arte a tutto tondo.
Sì, l’idea è di promuovere film che includono anche video arte, estetica, arte del linguaggio, arte sonora… Vogliamo essere multidisciplinari in questo senso. Per esempio quest’anno abbiamo avuto due documentari ibridi che rientravano nel concetto narrativo di Visionär. Ci piacerebbe fare più spesso film-concerto, cioè delle proiezioni mute con musica dal vivo, che abbiamo fatto nella serata di apertura, ma ci serve un budget maggiore.
E come contate di ottenerlo?
Abbiamo partecipato a dei concorsi per fondi pubblici cittadini, ma non li abbiamo ottenuti, c’è troppa concorrenza. Fortunatamente esistono investitori privati e istituti di cultura, ma comunque sono sempre piccoli fondi. A giugno però riproporremo un’edizione ristretta del festival a Mainz, e potrebbe essere l’inizio di un percorso che porterà Visionär in giro per la Germania, concedendogli più visibilità e più finanziamenti.
Data la tua esperienza prima come frequentatrice e ora anche come organizzatrice, sapresti dirmi qual è il tuo festival preferito?
Premetto che non ho ancora visitato Toronto e Locarno, né alcun festival asiatico. Sicuramente uno dei più divertenti è Rotterdam, dove ho visto le cose più pazze e innovative. E poi, banalmente, Cannes, che ti permette di vedere davvero tantissimo, e dove l’anno scorso ho apprezzato molto la sezione Acide, dedicata ai giovani talenti indipendenti.
Hai già dei progetti per il futuro, sia a Berlino che non?
Mi piacerebbe, perché no, portare il festival a Lecce, la mia città. In un certo senso Berlino ha già tutto, anche se secondo me la cultura non è mai abbastanza, mentre Lecce si sta risvegliando ora, e quindi avrebbe senso portare Visionär in una realtà emergente dove c’è spazio per nuovi progetti. Ma non vorrei spostare completamente Visionär da Berlino, solo espanderlo, renderlo itinerante e così arricchirlo.
Essendo anche tu, come me, un’italiana a Berlino, come ti sembra che la comunità italiana della città sia coinvolta nell’arte?
Intendi la creazione o la fruizione dell’arte? O entrambe? Mi sembra che la nostra generazione negli ultimi anni stia portando molta cultura italiana a Berlino, per esempio attraverso la ristorazione, che è parte integrante del patrimonio culturale italiano. Parlo di ristorazione di qualità, che si rifà alla cucina tradizionale prestando particolare attenzione alle radici culinarie regionali. Venire a Berlino non è una pura scelta economica, perché non è una città ricca quanto Monaco o Francoforte, ma attrae per la sua vivacità culturale. A quanto pare molti giovani italiani apprezzano questa vivacità culturale e provano ad prenderne parte attraverso la cucina, che è indubbiamente una delle nostre eccellenze più amate dagli amici tedeschi e più ricercate da noi espatriati.
Ringraziamo Francesca per il suo tempo e le auguriamo tanto successo per le prossime edizioni del Visionär Film Festival!