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Una lucertola con la pelle di donna e Gli imbroglioni: le due facce di Lucio Fulci

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Sebbene nel 1969 – anno in cui si dedicò anche all’ambizioso dramma in costume Beatrice Cenci – avesse diretto Una sull’altra, suo primo giallo a tinte thriller, fu soltanto due anni più tardi che il romano Lucio Fulci cominciò ad inserire nell’ambito dello stesso genere gli accenni di splatter che lo avrebbero poi trasformato pochissimo tempo dopo nel maestro tricolore del liquido rosso schizzante su schermo.

Fu in Una lucertola con la pelle di donna, comprendente nel cast Jean Sorel e il cui titolo, in maniera evidente, come i contemporanei L’iguana dalla lingua di fuoco di Riccardo Freda e Una farfalla con le ali insanguinate di Duccio Tessari – mirava a cavalcare la moda di allora dovuta al successo riscosso dalla “trilogia degli animali” di Dario Argento, costituita da L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio.

Del resto, probabilmente fu proprio a causa della allora innovativa accentuazione della violenza grafica diffusa attraverso questi tre lavori che vennero introdotti nella filmografia fulciana gli accenni di splatter di cui sopra, in questo caso comprendenti una impressionante sequenza con cani aperti e respiranti nella vicenda della sofisticata signora londinese incarnata da Florinda Bolkan, tormentata da incubi che hanno come protagonista la sua disinibita e conturbante vicina di casa Julia Dürer, ovvero Anita Strindberg.

Incubi ossessivi comprendenti anche uno in cui trova la morte quest’ultima, che viene poi viene realmente uccisa in maniera brutale all’interno del proprio appartamento, portando l’ispettore Corvin alias Stanley Baker ad indagare e ad arrestare la Hammond, rilasciata dopo alcuni giorni poiché un misterioso individuo si costituisce a Scotland Yard dichiarandosi l’autore dell’omicidio.

In un intreccio costruito per lo più sulle indagini e che, con l’ispettore poco convinto dell’innocenza della signora e nuovi inquietanti indizi destinati ad emergere proprio sul suo conto, si distacca dalla strada tracciata dal sopra menzionato Argento per delinearne una del tutto nuova e inedita, a cominciare dalla visivamente affascinante situazione erotica di apertura.

Perché, ispirandosi per alcune immagini alle opere del pittore irlandese Francis Bacon, Fulci mette in piedi oltre un’ora e mezza di visione che procede da un lato sul binario della razionalità e dall’altro su quello irrazionale-onirico, coadiuvato sia dal supporto di Carlo Rambaldi – cui si devono, tra l’altro, i pipistrelli presenti in un fondamentale momento – che dalla splendida fotografia a cura del Luigi Kuveiller che avrebbe in seguito preso parte a Profondo rosso, capace di regalare cromatismi che rendono il tutto pop dal punto di vista estetico.

Un autentico stracult dell’italian thrilling che è Federal Video (www.cgentertainment.it) a rendere disponibile su supprto dvd, con sezione extra rappresentata da una scena inedita, titoli di testa italiani, biofilmografie di Fulci, Sorel e la Bolkan, trentuno minuti di intervista al professor Paolo Albiero, autore del volume Il terrorista dei generi. Tutto il cinema di Lucio Fulci, e sei in cui lo stesso parla della censura e delle diverse versioni del film, più volte circolato tagliato sia in tv che in home video.

Ma, come molti sanno, il cineasta da cui abbiamo avuto, poi, anche il bellissimo Non si sevizia un paperino, non aprì la sa carriera nell’ambito di questo filone, bensì in quello totalmente differente della commedia, debuttando dietro la macchina da presa a fine anni Cinquanta con I ladri, interpretato da Totò, e firmando diverse sceneggiature per Steno (all’anagrafe Stefano Vanzina).

Sceneggiature tra cui anche quella di Un giorno in pretura, strutturato nel 1954 in episodi – incluso quello che introdusse l’”americano a Roma” di Alberto Sordi – che prendevano il via dai racconti effettuati all’interno di un’aula giudiziaria, fornendo la stessa narrazione di base sfruttata dallo stesso Fulci ne Gli imbroglioni, datato 1963 e che, girato in bianco e nero, è caratterizzato dall’omonima canzone di Giorgio Gaber posta a commento dei titoli di testa.

Lo stesso 1963 in cui fece la propria apparizione al cinema anche il super classico I mostri di Dino Risi, al quale, probabilmente, si guardò per poter concretizzare questa sequela di sketch volti a suscitare risate nel puntare l’obiettivo della camera sui vizi, i tic e i difetti degli abitanti dello stivale più famoso del globo.

E, guardando sempre al curriculum registico di Risi, superato il battibecco a causa di un parcheggio consumato dal pretore e da un industriale accusato di sofisticazioni è possibile intuire una certa influenza proveniente anche dal suo Il mattatore nell’assistere alla truffa ai danni di un antiquario attuata dai mai disprezzabili Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, poi citati in causa, inoltre, per aver tentato di vendere una finta tomba etrusca inviolata ad un ricco straniero.

Mentre un Raimondo Vianello dirigente di una società calcistica finisce per mandare all’aria le trattative per l’acquisto di un giocatore a causa dei suoi sogni piccanti riguardanti la moglie di un collega dalle fattezze di Aroldo Tieri e due suore vengono citate da un agente delle tributarie che non hanno esitato a maltrattare.

Senza contare Walter Chiari che non solo veste i panni di un viscido medico facilmente propenso a cercare di sedurre le proprie pazienti, ma ci regala anche una esilarante gag durante un funerale che, nel miscelare stratagemma comico e tragica circostanza di lacrime, sembra in un certo senso anticipare l’epilogo del mitico Amici miei, concepito da Mario Monicelli – con il fondamentale contributo del prematuramente scomparso Pietro Germi – soltanto dodici anni più tardi.

Con trailer, locandina originale, galleria fotografica e biofilmografie di Chiari e di Franchi e Ingrassia a rappresentare i contenuti speciali del disco digitale della pellicola, edito da Surf Video (www.cgentertainment.it).

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