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Suspiria, il capolavoro di Dario Argento con Jessica Harper

A distanza di quarant’anni il film continua ad affascinare col suo immaginario, stupire con la sua fotografia e, ovviamente, inquietare.

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A distanza di quarant’anni Suspiria continua ad affascinare, stupire e, ovviamente, inquietare. Il film del 1977  diretto da Dario Argento, ispirato al romanzo Suspiria De Profundis di Thomas de Quincey è interpretato da Jessica HarperStefania Casini, Flavio Bucci, Alida Valli e Miguel Bosè. Fu il primo capitolo della trilogia delle tre madri ed ha avuto due sequel: Inferno (1980) e La terza madre (2007). Il film è disponibile su Amazon Prime Video.

Suspiria è considerato un grande successo di Dario Argento, dopo Profondo rosso, capolavoro del 1975. Il regista ha dichiarato che l’ispirazione iniziale per il film nasce da un viaggio da lui compiuto attraverso le “capitali magiche europee” (Torino, Lione e Praga) e alla visita della Scuola di Waldorf fondata da Rudolf Steiner e situata vicino Basilea nei pressi del centro del “Triangolo Magico” formato da Francia, Germania e Svizzera. La compagna del regista Daria Nicolodi ha collaborato nella realizzazione del film, curandone con Argento la sceneggiatura, nata ispirandosi alla sua infanzia. La Nicolodi introdusse alcune caratteristiche di fiabe come Alice, Biancaneve, Barbablù e Pinocchio, ma in particolare i racconti di sua nonna Yvonne Loeb. Quest’ultima le narrò le sue esperienze presso un istituto artistico e musicale francese che aveva frequentato durante un corso di perfezionamento, da cui era fuggita dopo aver scoperto che dietro si celava una vera scuola di magia nera. Lo stesso Argento si è ispirato inoltre alla lettura di numerose fiabe infantili soprattutto per ideare il personaggio di Elena Markos, la Regina Nera.

Sinossi
Susy va a Friburgo per iscriversi a un’accademia di danza, ma un paio di compagne vengono massacrate in maniera orripilante. Sull’edificio che ospita la scuola, una vecchia costruzione isolata e immersa in un bosco, grava un’antica maledizione e la direttrice sembra essere in comunicazione con l’aldilà. O meglio, con una strega dura a morire.

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Su Suspiria, celebratissimo capolavoro di Dario Argento, si sono versati fiumi di inchiostro, per decantarne la bellezza, l’originalità. Soprattutto in riferimento alle tecniche fotografiche utilizzate. In questo senso la collaborazione tra il grande Luciano Tovoli e Argento è stata più che mai proficua.

Una delle location in cui è stato girato il film è la Foresta Nera. Un’area montuosa situata nella parte sud-occidentale della Germania, nel Land del Baden-Württemberg. Qui Dario Argento ha messo in scena la propria visione del Male, in cerca di un’ispirazione e di quelle suggestioni che gli consentissero di dare felicemente corpo ai fantasmi che lo animavano.

All’inizio del film si vede la giovane Susy Benner muoversi negli spazi anonimi e minimali dell’aeroporto di Friburgo. Il Male è già lì ad attenderla, ancor prima che si lasci suo malgrado coinvolgere dalla compagna Sarah nello svelamento dell’angosciante segreto che cova nella prestigiosa Accademia di danza cui è diretta. Le porte automatiche si aprono e già è ben udibile il rumore di una presenza che, va da sé, è anche un’assenza. Questo esser presente senza apparire rende gli spettri evocati da Argento una Potenza, è proprio il caso di dire, che riesce a farsi percepire pur non mostrandosi. È la giustapposizione successiva delle belle e inquietanti musiche dei Goblin a segnalare allo spettatore questo scarto.

Tale prologo si congiunge funambolicamente con l’epilogo del film, nel quale, dopo esser giunta nelle stanza nascosta in cui risiede la strega centenaria Helena Markos, Susy viene assalita dalla ormai defunta Sarah. L’incorporea e malvagia entità ha ritenuto opportuno assumere quelle fattezze per uccidere l’invadente e curiosa studentessa americana. È nell’informe che trova origine la ‘nuova’ visione del terrore di Dario Argento. Dopo Profondo Rosso avvertiva l’esigenza di compiere un’evoluzione, di emanciparsi dalla pur bella prosaicità del poliziesco e del thriller per giungere nel terreno affascinante dell’horror e della magia.

Le tematiche di Suspiria

In Suspiria Argento riesce a ridurre la visibilità della ‘causa del fenomeno’, di ciò che normalmente si ritiene celarsi dietro esso, permettendone la manifestazione. Non viene mai mostrata Helena Markos, la cui presenza aleggia fantasmaticamente su tutta la città di Friburgo.

È indicativa la sublime sequenza della morte del pianista Daniel (il fuoriclasse Flavio Bucci) girata in una piazza ‘metafisica’ alla De Chirico. Il finale di Suspiria, in cui la provvidenziale pugnalata della protagonista dà temporaneamente corpo alla figura di una donna centenaria, decrepita e disgustosa isuona non poco con il meraviglioso epilogo de Le armonie di Werckmeister (2000), il film diretto da Béla Tarr. Anche lì si assisteva a un rilevante ‘svelamento’ che inevitabilmente deludeva chi era alla ricerca di una causa. Un vecchio inerme, nudo, esanime. In entrambi i film questo ‘resto’ visivo costituisce la rovinosa ricaduta idolatrica del prototipo. Detto in altri termini, sebbene anch’essa abbia consistenza ontologica, la potenza che è la premessa logica dell’atto è per natura incommensurabile a esso. Per tale motivo, tentare di schiacciarla arbitrariamente sul ‘visibile’ comporta un’esplosione che genera ‘mostri’, cadaveri, corpi in putrefazione, orrori di ogni genere. Sempre insufficienti, pur nella loro sconvolgente apparenza, a rendere conto della pienezza di qualcosa che è confinato in un fuori campo assoluto irraggiungibile.

L’importanza di Suspiria

Suspiria costituisce una preziosissima testimonianza di quanto Dario Argento abbia saputo istintivamente cogliere i più complessi meccanismi che regolano l’articolazione interna allo statuto ontologico dell’immagine in movimento. Riflessione profondissima che poi sarà ulteriormente sviluppata e ribadita nel bellissimo Opera (1987). Un film in cui l’orrore non costituiva più l’ennesima spettacolarizzazione ordita colludendo con una malsana bulimia contemporanea dello sguardo. Diveniva bensì il mezzo attraverso cui retrocedere dalla rappresentazione alla presentazione. Una coppia di pellicole che confermano quanto il loro autore meriti più che mai l’appellativo di maestro.

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