Le pedine sono ormai tutte sulla scacchiera, pronte per la volata finale. Nonostante una reunion di tutti i personaggi (superstiti) principali di Game Of Thrones, in realtà, nella saga de Cronache del Ghiaccio e Del Fuoco di George R. Martin non è mai avvenuta, noi spettatori avevamo lasciato ne Il Drago E Il Lupo (la settima e ultima puntata della settima passata stagione) Cersei, Jon Snow, Danaerys e rispettivi alleati alla ricerca di una tregua in vista dell’Inverno ormai arrivato, mentre Viserion, ormai vero e proprio drago Estraneo dalla fiamma blu, al Forte Orientale demolisce il muro di ghiaccio e permette all’esercito di entrare nei Sette Regni.
Siamo quindi realmente alle battute finali di una delle saghe più iconiche, seguite e influenti nella cultura di massa del Nuovo Secolo: pur se lo stesso suo autore è fermo al quinto volume (dei sette previsti, contro i tre originariamente nel piano dell’opera), Davi Benioff e D.B. Weiss hanno giocato più che bene le loro carte, e Il Trono Di Spade è diventato lentamente ma inesorabilmente non solo un punto di riferimento per la narrativa serial, non solo una pietra di paragone produttiva, ma in assoluto un’opera così colossale negli intenti, negli orizzonti, nei risultati e nella messa in scena da essere oramai, dopo sette anni dall’inizio e quasi 70 episodi, un vero e proprio cult moderno.
Sono passati dieci anni dalla messa in onda del primo episodio, passato nella quasi totale indifferenza del grande pubblico; complice poi la lungimiranza degli autori, una scrittura brillante insieme ad una spettacolarità che si è impennata lentamente, e sul piccolo schermo nel corso di queste otto stagioni abbiamo visto sotto i nostri occhi crescere un’opera che ha saputo mantenere intatta quasi sempre la sua qualità narrativa riuscendo allo stesso tempo a guadagnare in grandiosità visiva e concettuale.
Trame a lunghissima percorrenza, premonizioni, legami fra l’inizio e la fine, attori di altissimo profilo, messa in scena sontuosa e ricca di suggestioni: Il Trono di Spade ha fatto attendere il suo larghissimo pubblico per ben due anni per l’arrivo di questa stagione finale, che, come si è detto, è frutto esclusivamente dei runner della serie non avendo ancora Martin messo la parola fine ai suoi libri. Questa sorta di stanchezza narrativa ha contagiato, per una brevissima parentesi, anche il serial: che nel passaggio dalla quinta alla sesta, coincidente con il passaggio dal libro alla tv, ha avuto non poche difficoltà di adattamento. Ma Winterfell (Grande Inverno, s08e01) ha spiazzato tutti, in un senso e nell’altro: una puntata doverosamente “di servizio”, per ritrovare i personaggi dove li avevamo lasciati -pur non perdendosi come spesso accade in questi casi in rivoli noiosamente riassuntivi- e per preparare il terreno ai fuochi, letterali e non, che arriveranno.
Ogni personaggio sembra però portare su di sé il peso del suo vissuto, avendo pagato con dolore e sangue ogni passo compiuto per arrivare lì: Danaerys intrisa di violenza e alterità con la giusta fierezza per portare una corona così pesante, Jon Snow che apprende il suo retaggio e la sua legittima pretesa al trono, Jamie Lannister improvvisamente ingrigito e spento che regala uno dei (pochi, a dir la verità) momenti emotivamente preziosi di questo pilota, il faccia a faccia, dopo otto stagioni, con Bran Stark. Che in qualche modo riallaccia l’inizio alla fine: proprio Bran e Jamie erano stati protagonisti di una delle scene più scioccanti del primissimo episodio, e proprio questo sottile legame si presterebbe ad essere una delle chiavi di volta del finale. Che Bran, come sostengono in molti, non abbia preso possesso del corpo del Re Della Notte? E che Jamie non sia destinato ad uccidere un nuovo re, quello Della Notte, chiudendo quindi in qualche modo il cerchio?
Insomma, Grande Inverno promette di saper mantenere quell’equilibrio tra spettacolarità e introspezione che è lo stile proprio del Trono di Spade: iniziando a districare lentamente, come in gustoso menù gourmet, una delle matasse più intricate dai tempi del Lost di J. J. Abrams. Consapevoli di assistere all’epilogo di un prodotto che è stato un vero e proprio spartiacque nel vivere e fare televisione.
GianLorenzo Franzì