Roma città aperta è un film del 1945 diretto da Roberto Rossellini.
Il film è stato recentemente rilanciato su Raiplay. Vi basterà iscrivervi gratuitamente per vederlo.
Il capolavoro di Rossellini è stato inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, nata con lo scopo di segnalare “100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978”. Il film in versione restaurata dal “Progetto Rossellini” (formato dall’Istituto Luce Cinecittà, la Fondazione Cineteca di Bologna e la Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia) è stato proiettato in oltre 70 cinema nel mese di aprile 2014 per la Festa della Liberazione. Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Vito Annichiarico, Maria Michi, Marcello Pagliero, Harry Feist, Nando Bruno.
“Roma città aperta”: un simbolo del Neorealismo
È una delle opere più celebri e rappresentative del neorealismo cinematografico italiano. Ha fatto acquisire notorietà internazionale ad Anna Magnani, co-protagonista insieme ad Aldo Fabrizi, qui in una delle sue interpretazioni più famose.
È il primo film della Trilogia della guerra antifascista diretto da Rossellini (seguiranno Paisà e Germania anno zero). Venne presentato in concorso al Festival di Cannes 1946, dove ottenne il Grand Prix come miglior film. Ricevette una candidatura al Premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale e vinse due Nastri d’Argento, per la miglior regia e la migliore attrice non protagonista (Anna Magnani).
La trama di “Roma città aperta”
Durante l’occupazione tedesca di Roma, l’ingegnere comunista Manfredi (Pagliero), che milita nella Resistenza, prende contatti con un compagno tipografo. La Gestapo è sulle sue tracce, ma l’uomo trova rifugio presso l’abitazione di un sacerdote (Fabrizi) mentre l’operaio è arrestato e la sua donna (Magnani) viene uccisa da una raffica di mitra. La delazione di Marina (Michi), un’attricetta cocainomane che ha avuto in passato una relazione con Manfredi e che ora sta nel giro degli ufficiali tedeschi, consente loro di catturare l’ingegnere e il prete. Il primo, benché torturato a morte, non rivela i nomi dei compagni. Il prete viene fucilato mentre riceve l’ultimo saluto da alcuni ragazzini della sua parrocchia.
È il film più celebre del Neorealismo, realizzato da Rossellini in condizioni di incredibile povertà di mezzi e di romanzesca precarietà. Immortale la sequenza della Magnani che viene falciata dai mitra mentre insegue la camionetta con suo uomo. Alla base della vicenda sta un personaggio realmente esistito, don Morosini, che i tedeschi fucilarono a Roma per la sua adesione alla lotta partigiana.
Dichiarazioni in merito all’importanza di “Roma città aperta”
Molti importanti esponenti del cinema mondiale si sono espressi nel corso degli anni sul perchè Roma città aperta abbia cambiato la storia del cinema.
«La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta». (Otto Preminger)
«Roberto mi ha insegnato che una buona sceneggiatura deve stare in dodici pagine, che la macchina da presa non ha più importanza di una forchetta e che bisogna potersi dire, prima di ogni ripresa: “O faccio questo film o crepo». (François Truffaut)
“Un prete e un comunista lottano per la stessa causa. Dietro di loro si muove un quartiere popolare di Roma, coi suoi casoni squallidi, i cortili in cui la storia di ognuno è la storia di tutti e dove la sofferenza e le speranze sono comuni. La forza di “Roma città aperta” è in questa molteplicità di elementi umani coagulati da un’unità superiore” (Carlo Lizzani)
Un nuovo capitolo di cinema
Come diceva Italo Calvino, all’incirca, il Neorealismo corrispose al bisogno fisiologico di alcuni esseri umani di raccontare le proprie esperienze e di raccontarsi alla luce di fatti terribili. Il Neorealismo stesso ebbe numerosi paralleli nel resto dell’Europa, come per esempio la pittorica Nuova Oggettività: ecco che non possiamo pretendere dal Neorealismo film iperrealistici. Il Neorealismo corrispose a bisogni interiori di uomini alla ricerca dell’espressione. Ed è anche questo il perché della fotografia e delle ombre in certi momenti quasi espressionistiche di Roma città aperta, a buon ragione considerato come uno dei più grandi film della storia del Cinema.
Un film che cattura e coinvolge
Roberto Rossellini non ha la pretesa, come Vittorio De Sica, di mettere in scena la verità in maniera assoluta. È vero, lui dice che la realtà è davanti a noi e non c’è bisogno di modificarla, ma è comunque “davanti a qualcuno”. Questa realtà, e questo qualcuno parla, soffre, cerca empatia. Ecco che il capolavoro di Rossellini coinvolge e appassiona come pochi altri film neorealisti. Questo grazie alla potente messa in scena del suo regista (inutile citare la sequenza della Magnani che corre e viene freddata). Ma anche all’interpretazione, oltre che della Magnani e di Fabrizi, di tutti i comprimari non professionisti, che si prestano a interpretazioni non sempre facili.
Ma la cosa che più sorprende, e che distacca questo film dallo stesso Ladri di biciclette (qui per la versione restaurata al Festival di Cannes), è l’attenzione non solo emotiva, a momenti quasi psicologica, nei confronti dei personaggi. E ancora la contestualizzazione storica, niente che a livello scenografico costasse troppo, ma qualcosa di realmente fondamentale per quanto riguarda le tematiche e il messaggio di tutta l’opera. Ed è bene stare attenti anche a questo presunto “messaggio”, perché l’opera di Rossellini potrebbe essere scambiata per didascalica. Il regista, invece, ha la brillantezza e la grandiosità di gettare più ambiguità e problematicità di quanto potrebbe sembrare.
Quale il ruolo di ognuno di noi?
Tralasciando le vicende narrative, che si vedono composte di due tronchi che lentamente si riuniscono nello stesso fusto, i personaggi di Rossellini sono alle prese con una guerra. Ma anche con le passioni, le debolezze e i limiti.
Rossellini pone la domanda fondamentale: qual è la responsabilità del singolo in un contesto così roboante e mastodontico come la guerra? Coinvolto in questa “bufera”, il singolo può davvero influire in qualche modo in qualcosa, oppure può solo ricercare gloria personale? E ancora, il singolo può agire o finirà solo e soltanto per subire?
Questi ed altri quesiti pone Roma città aperta. E siccome la risposta di Rossellini non è univoca, il film dà alla luce una girandola di situazioni e di caratteri davvero indimenticabili. Ognuno cerca, nel proprio piccolo, di impegnarsi o di lasciarsi andare alla vita (e alla morte). Pina sceglie la via della tranquillità familiare, Francesco scappa da qualsiasi possibile agguato nazista, Manfredi sa adottare la via dell’eroismo, Corinna piange il suo uomo pur non riuscendo a smettere di essere una vittima, la sorella di Pina si dà alle ubriacature, e infine il sacerdote, che nella sua figura di uomo di Chiesa ripropone interrogativi fondamentali anche a livello esistenziale (il libero arbitrio sotto il motore enorme della guerra come il libero arbitrio sotto lo sguardo di Dio) e non riesce a sopravvivere sebbene i bambini con la loro forza innocente fischino durante la sua esecuzione.
È proprio nei bambini che Rossellini si incentra. Sul loro sguardo, sulla loro terribile condizione, sulla loro iniziativa e sulla loro straripante gioia di vivere che lascerebbe ben sperare, tra varie disperazioni, per ciò che riguarda il futuro dell’Italia. “Sempre che ‘sta maledetta guerra finisce”. Se poi si guarda Germania anno zero, lì sembra che neanche i bambini riescano a “sopravvivere”.