L’attrice del mondo: intervista con Blu Yoshimi, protagonista di Likemeback
Contemporanea e cosmopolita, Blu Yoshimi si è resa fin qui protagonista di un percorso d'attrice caratterizzato da una maturità artistica che smentisce la sua giovane età. Prova ne è il suo ultimo film, Likemeback di Leonardo Guerra Seragnoli, in cui nella parte di una ragazza millennials recita alla maniera degli interpreti di razza, facendo sembrare naturale la conseguenza di un complesso percorso di immedesimazione
Nel tuo curriculum si notano alcune scelte che per quanto riguarda il cinema appaiono molto ragionate e, direi, quasi centellinate nella loro importanza. Tutto questo lascia pensare che accanto a quella cinematografica ci sia un’altra vita, non meno importante della prima.
Mi fa piacere che sembri una mia scelta. In realtà, dipende dai casting e dai registi perché per quanto mi riguarda sono così appassionata di cinema e di recitazione che se fosse per me non smetterei mai di fare film. Forse, come persona, ho la fortuna di attrarre cose particolarmente belle per cui, magari, inconsapevolmente, è come se questi ruoli li avessi in qualche modo selezionati. A ventidue anni sarebbe bello riuscire a vivere solo di cinema, ma purtroppo non è così, per cui nel frattempo continuo a studiare recitazione, cosa che faccio dall’età di quindici anni, insieme all’artefice principale della mia formazione, e cioè Doris Hicks, membro dell’Actors’ Studio. Inoltre do ripetizioni, faccio la dog sitter e altre attività extra curricula necessarie a soddisfare la mia voglia di viaggiare, piacere al quale cerco sempre di unire una qualche utilità, prima di tutto lo studio. Per esempio, quando ho vinto un bando per andare un mese a New York ho fatto in modo di continuare a studiare recitazione. Sono anche iscritta all’Università di Roma Tre dove frequento il corso di Laurea in DAMS e da quest’anno ho iniziato a dedicarmi alla scrittura di soggetti.
Del resto rimanere attaccata alla vita privata penso che abbia riflessi positivi sull’autenticità delle tue interpretazioni.
Ma certo! Anche perché senza quella, poi, io che vita porto in scena?
La prima cosa che colpisce delle tue interpretazioni è la naturalezza. La qualcosa si esprime sia all’interno del singolo film che nel passaggio da un personaggio all’altro, con in più la costante tipica dei grandi attori che è quella di riuscire a nascondere la tecnica.
Grazie, mi fa davvero piacere che tu sia riuscito ad andare un po’ oltre, notandolo. Quello che dici mi sembra la sintesi di ciò che l’attore dovrebbe fare. Non pretendo di sapere quale sia il metodo più adatto per interpretare un ruolo, perché ognuno degli attori che stimo applica al mestiere le proprie metodologie. Personalmente mi appassiono moltissimo ai miei personaggi e questo mi porta a scoprire parti di me stessa che prima non conoscevo. Una volta che mi catturano sono interessata a conoscerli e a studiarli, ma soprattutto a viverli, per cui cerco di capire cosa pensano, cosa desiderano. Questa cosa emerge in particolare quando arriva il momento di girare: come attrice non saprei dirti la maniera che mi permette di imparare a memoria le varie scene, poiché tutto succede dieci minuti prima di andare sul set: in quel momento il personaggio prende il sopravvento e sa cosa dire. Penso che tutto dipenda dall’amore per le persone e dalla conseguente empatia che mi spinge verso di loro. Non importa se siano vere o inventate: stabilita la connessione emotiva inizio a guardare l’esistenza con un punto di vista, un vissuto e dei gusti corrispondenti ai loro. Di fatto è questo che mi interessa nel dare vita ai miei ruoli.
Intervistando una tua collega, si distinguevano due categorie di attrici: quelle che si fanno tramite per i segni del personaggio, e le altre per le quali tutto parte dal corpo e dalla propria personalità. Tu dove ti collochi?
Io credo di far parte di quel gruppo che dall’interno si sposta progressivamente verso ciò che c’è fuori, per cui tutto quello che riguarda la voce e i movimenti è il risultato del lavoro fatto sulla personalità, sui bisogni e sui desideri del personaggio. Ad esempio, rivedermi in Likemeback mi ha fatto una strano effetto perché avevo una vocina molto più acuta della mia che, come stai sentendo, ha un timbro un po’ grave. Dunque, nel caso di Lavinia, la particolarità del suo modo di parlare non dipende dalla tecnica: ci sono delle posture e degli atteggiamenti come pure dei modi di essere di un personaggio che si assorbono durante la fase di ricerca. Lavi è una millennials con caratteriste specifiche di questa generazione, che però da sole non bastavano per costruirne la personalità. Dunque, sono andata alla ricerca di una realtà tratta dalla vita quotidiana fatta di dettagli rubati a persone che conosco. Questo per dire che Lavi ha dei vezzi che non mi appartengono minimamente, tipo il suo modo di mettersi in posa e di fare le “boccucce”. Espressioni che a vedersi fanno un po’ sorridere e che per un attimo mi hanno reso irriconoscibile persino a me stessa.
Con il regista avevamo proprio parla di questo aspetto perché anche io all’inizio non ti avevo riconosciuto. Detto questo, il personaggio di Lavinia mi pare costituisca un punto di rottura rispetto ai precedenti perché si tratta di un ruolo meno innocente degli altri e tratteggiato da un utilizzo del corpo molto coraggioso da parte tua.
Secondo me ogni personaggio è un po’ una sfida. Anche la Cate diPiuma, per quanto simile a me in termini di pacatezza, allo stesso tempo mi era comunque distante per il fatto di non sorridere mai. Entrare nel suo mondo così angosciato e serio non è stato facile, così come farmi carico dei problemi relativi alla sua maternità. Seppur apparentemente naturale, immedesimarmi in lei è stato un processo lungo e profondo. Con Lavi, per esempio, mi sono chiesta spesso il modo in cui avrei potuta incontrarla. Inizialmente la giudicavo e questo, come accade nei rapporti con gli esseri umani, non porta mai a nulla. Il ricercare il punto in cui eravamo simili è stato lo step decisivo: domandarmi cosa mi accomuna ai personaggi e indirizzare la ricerca lungo questa direzione mi porta a ottenere quella realtà e quella naturalezza che dicevi prima, perché a un certo punto arrivi a dirti che anche tu sei un po’ così. Qualcuno, non mi ricordo chi, diceva che gli esseri umani sono fatti di percentuali e, dunque, ognuno di noi ha sempre qualcosa degli altri. Creare un personaggio significa spostare un po’ le percentuali.
Ti considero un’attrice contemporanea sotto molti punti di vista. Uno di questi ha a che fare con ciò che dicevamo sopra e cioè con un uso del corpo coraggioso, anche per la maniera in cui lo mostri. Ti senti addosso queste caratteristiche anomale nel nostro cinema?
Sono contenta di questa domanda. Per quanto possa sembrare naturale, l’utilizzo del corpo in Likemeback non è stato la cosa più facile. Si tratta sempre di una dedizione nei confronti del personaggio e della sua storia. Ha senso esporsi in una determinata maniera se questo serve a veicolare entrambi questi aspetti. Per esempio su Instagram la nudità è una consuetudine. I giovani non hanno problemi ad aprire internet e trovare corpi nudi nei film porno, come pure sui social dove ci sono profili di persone che appaiono sempre svestite. Da una parte questa cosa mi ha tranquillizzata perché pensavo che non era grave apparire senza abiti, ma la verità di quella nudità è che volevo fosse diversa da quella che si può vedere nei social, perché la mia doveva partire da un disagio. Lavi appare spesso nuda e si esibisce come se da questo dovesse ricavarne qualcosa; però, quando decide di spogliarsi davanti a una telecamera cambia, ed è questo scarto che a me – anche personalmente – ha fatto più impressione. Si tratta di un mutamento che segnala un grande disagio, perché è come se lei ci dicesse che è disposta anche a questo pur di farsi amare dagli altri. Mi sono messa al suo posto chiedendomi se il numero di likes corrispondano davvero al valore che si può dare oggi a una ragazza e se tutto questo sia sufficiente a farla sentire amata e compresa. Ragionarci sopra è stato importante anche per me, in un momento in cui mi sentivo a disagio con il mio corpo poiché, essendomi ingrassata poco prima del film, avevo qualche remora nel farmi vedere.
In questo caso come ti sei comportata?
Sapendo che avrei dovuto interpretare Lavi mi sono rimessa in forma con sport e dieta quotidiana. Comunque, contare la bellezza in chili penso sia una cosa datata, anzi, credo la si possa eliminare dal nostro sentire comune. Detto questo, a diciannove anni, sfido chiunque a sentirsi a proprio agio nel suo corpo. Io mi trovavo in quel momento di transizione che lì per lì mi faceva rosicare, pensando al fatto di fare un film in cui dovevo recitare tutto il tempo in costume da bagno. Con il senno del poi il disagio che ho regalato a Lavi penso le abbia dato tutto un altro senso, rendendola molto più umana. Quel periodo di cambiamento, in cui non mi sentivo in qualche modo dentro al mio corpo, ha finito per darle uno spessore che altrimenti non so come sarebbe venuto fuori.
In realtà, sia in Likemeback che in Arianna il tuo corpo ha una presenza molto fisica, ma allo stesso tempo è dotato di una leggerezza che gli deriva da una recitazione dove la tecnica sembra non esistere. O meglio, c’è ma non si vede.
Esatto, ed è bello perché in realtà c’è un sacco di lavoro dietro, quindi mi piace che non si veda.
Rispetto a film omologhi, Likemeback ha un’impostazione molto particolare perché i social non vengono mostrati direttamente, bensì attraverso il linguaggio dei corpi e le espressioni dei volti. Tra l’altro, girate a stretto contatto con la macchina da presa e in uno spazio angusto e claustrofobico. Penso che in termini di performance sia stato un film impegnativo.
Abbiamo avuto la fortuna e l’onore di lavorare con un maestro come Gian Filippo Corticelli, il quale, dopo venticinque anni, ha ripreso la macchina da presa in spalla, rimanendo sempre accanto a noi durante le riprese, specialmente in quelle fatte all’interno della barca in cui lo spazio era minimo e lui era l’unico elemento della troupe, oltre a noi attrici. Per renderlo più omogeneo, il film è stato girato con una lente da 35 mm e, a dirti la verità, non mi ricordo di aver percepito il problema della macchina da presa, perché la maestria di Leonardo (Guerra Seragnoli, regista di Likemeback, ndr) e la sua sensibilità ci hanno permesso di muoverci in assoluta libertà. Gian Filippo, in particolare, è speciale nel saper captare l’importanza dei momenti. Per esempio, mi ricordo la scena in cui mi ritrovavo da sola a piangere all’interno della barca: le lacrime sono andate avanti per ore, anche se sullo schermo la sequenza è molto breve. Nessuno sapeva come mi sentivo realmente perché, a parte lui, eravamo soli. A un certo punto Filippo ha avvertito il momento preciso in cui stavo peggio di prima e così ha chiamato l’azione senza avvisare nessuno. L’ho trovato un gesto di grande umanità perché come attrice è riuscito a capirmi senza che io chiedessi nulla; ha sentito che quella era la cosa giusta per la storia, ed è stato molto coraggioso a far partire le riprese.
Nonostante la giovane età, le tue parole denotano una certa consapevolezza dello strumento cinematografico, il che mi fa pensare che prima o poi ti cimenterai anche nella regia. Mi sbaglio?
Speriamo, nel senso che a me la macchina del cinema piace tutta, sia davanti che dietro e senza distinzione tra tv e grande schermo, tra lungometraggio e serialità, perché a me piace essere lì, girare nel tentativo di creare qualcosa. Dunque, in questi termini sento di volermi sfidare in vari ambiti che ancora oggi non riesco a mettere a fuoco con precisione. Per esempio, la scrittura mi sta interessando, la regia mi piacerebbe, un giorno vorrei produrre. Mi interessa la creazione a tutto tondo, senza però abbandonare i personaggi, questo è sicuro.
Per come ti sei gestita disponi di un immaginario d’attrice non depauperato e che, potenzialmente, ti permette di essere credibile nei ruoli più svariati. In questo senso ti chiedo se, dovendo immaginare il tuo percorso d’attrice, esiste un progetto o una traccia che intendi seguire nelle tue scelte future.
Il mio desiderio sarebbe quello di cambiare per incontrare personaggi comeNikita che sono forti e insieme fragili. Mi piacerebbe trasformarmi molto fisicamente, magari avere un taglio di capelli alla Closer di Natalie Portman. Tra l’altro del mestiere dell’attore, questa è la cosa che trovo più divertente.
Arianna,Piuma e Likemeback sono tre film che trattano argomenti non convenzionali e con un respiro più internazionale che italiano. Piuma flirta con il cinema indie, Arianna sembra un’opera francese, mentre Likemeback rimanda a una realtà che, almeno sul grande schermo, è stata trattata dalle produzioni anglosassoni. La dimensione cosmopolita appartiene al tuo modo di recitare?
Ho sempre studiato recitazione all’estero per cui nonostante sia una patriottica sfegatata mi sento un po’ cittadina del mondo. Quando sono in altri paesi mi sento sempre a casa anche perché ad accompagnarmi è l’utopia di un mondo bello e unito: una predisposizione che penso si manifesti nella mia recitazione. Ho preso lezioni da un insegnante che viene dalla scuola americana e a Madrid frequento lo studio Corazza, dove Javier Bardem va a preparare i suoi personaggi, quindi la mia ambizione è quella di ispirarmi ai più grandi: è da loro che cerco di prendere ispirazione anche nel concreto, e cioè nello studio dei personaggi. Per imparare li osservo mentre sono sul set e rubo un po’ da tutti.
Da quanto mi dici capisco che parli diverse lingue, o mi sbaglio?
Inglese, francese e spagnolo.
Blu Yoshimi oltre che bello è un nome originale. Me ne spieghi l’origine?
In realtà non l’ho scelto io. Blu mi è stato dato da mia a madre, mentre Yoshimi dal leader buddista Daisaku Ikeda. Lui è un uomo che si impegna per la pace con questa organizzazione di per sé laica ma che manda avanti una filosofia buddista. Al momento della nascita i miei genitori gli hanno chiesto di darmi un nome e io ho pensato di mantenerlo perché mi pareva molto bello e unico.
Come attrice, quali sono i modelli femminili e maschili che ti piacciono di più?
Allora, tra gli uomini rischierò di essere banale, ma Fassbender lo trovo bravo oltreché bello. Poi direi Christian Bale. che è il trasformista per eccellenza e, ancora, Di Caprio. Di lui c’è una cosa molto particolare che mi piace e cioè che secondo me ha dovuto lottare molto con il fatto di essere bello. L’ammiro particolarmente per il fatto di aver scelto personaggi scomodi e poco avvenenti.
Un po’ alla Kim Rossi Stuart.
Si, stavo per dire lui, e poi Elio Germano e Luca Marinelli, attoriche apprezzi per come appaiono sullo schermo e non per ciò che fanno nella loro vita privata.
Parliamo delle attrici.
Innanzitutto Mia madre…
Lidia Vitale, a cui il cinema ancora non ha riservato un’attenzione all’altezza della sua bravura.
Siamo d’accordo, lei per me è un esempio non solo d’attrice ma di donna. Anche io la vorrei vedere lavorare di più, perché penso possa essere un grande modello, un’ispirazione per moltissime persone. In Italia stimo molto anche le mie colleghe, quindi Angela (Fontana, ndr), Denise (Tantucci, ndr) e poi Sara Serraiocco, ragazze giovani che stanno crescendo e che hanno molto da dare. I talenti sono tanti e spero che continuino sulla strada che hanno iniziato. Tra gli adulti, Valeria Golino e Alba Rohrwacher sono riferimenti imprescindibili. Di Alba mi piace molto come riesce a collaborare con la sorella Alice (Rohrwacher, ndr), a creare questa sorta di dipinti in movimento.
Parlando di film, invece, quali titoli figurano tra i tuoi preferiti?
Di recente ho visto Ricordi?di Mieli, il cui stile poetico mi piace molto. In generale, direi Shame di McQueen e Xavier Dolan per cui sono disposta anche a sopportare di vedere in scena i problemi personali dell’autore vista la bellezza delle sue opere. Altri che mi vengono in mente sono Lazzaro Felice ed Euforia. Mi piacciono i Dardenne per la naturalezza e la verosimiglianza con cui riescono a raccontare fatti molto drammatici. Tornando alle attrici, mi piace Ellen Fanning sia per le sue interpretazioni che per le sue scelte: il suo è un cinema americano ricercato ma capace di raggiungere un pubblico molto ampio. Per quanto sia riconoscibile riesce ogni volta a reinventarsi diventando sempre una persona diversa.
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