Rachel è una bellissima ragazza di 25 anni, impiegata d’ufficio in una cittadina di provincia, di modesta famiglia, con origini ebraiche. Una sera in un locale Philippe la cattura e inizia la loro frequentazione. Lui appartiene a una ricca famiglia borghese, è sempre in viaggio e parla molte lingue, compreso il cinese e il giapponese, con le quali lavora facendo traduzioni. È un uomo coltissimo, conosce molto bene l’arte e ha letto di tutto. Non sa cosa far leggere a Rachel e inizia con il proporle Così parlo Zarathustra e Al di là del bene e del male di Nietzsche, quasi un segno di quello che sarebbe accaduto. Un amore travolgente sembra coinvolgerli fino a quando lui dovrà tornare a Parigi, per poi spostarsi ancora in altre città. L’ultima volta le chiederà di avere un rapporto completo e Rachel resterà incinta. Nonostante le lettere, le sollecitazioni e gli inviti ad andare a trovare la figlia, passerà molto tempo, e lui la vedrà, sempre tra una lunga pausa e l’altra, fino a quando, di fronte all’ennesima richiesta della madre di riconoscerla come figlia, invece di sottoporla a documenti dove viene dichiarata di “padre sconosciuto”, Philippe le racconterà di essersi sposato con una donna tedesca ricchissima con la quale può conservare il lustro del rango di appartenenza. Rachel lo caccerà e lui sparirà per lungo tempo fino a quando si rivedranno e lei gli chiederà di nuovo il riconoscimento della figlia. Una lunga notte di litigi le farà raggiungere l’obiettivo. Un obiettivo che le costerà caro, un imprevedibile crudele, demoniaco prezzo che la donna con sua figlia dovranno pagare. Una travagliatissima storia di cinquant’anni che non si può definire d’amore. Philippe durante i primi incontri suddividerà l’amore in tre ambiti: coniugale, passionale e l’incontro inevitabile, definendo quello passionale dozzinale. Il loro sarebbe stato evidentemente l’incontro inevitabile attraverso il quale lui avrebbe continuato a vivere incontrando Rachel, quando gli sarebbe stato comodo, senza cambiare assolutamente nulla della propria vita. E sebbene Rachel avesse molto chiaro il proprio destino con quest’uomo, continuava a vivere serenamente con l’unico intento che la figlia fosse riconosciuta dal padre. Nulla le avrebbe fatto presagire quello che sarebbe successo nel momento in cui Philippe, offrendole un assegno mensile di mantenimento per la figlia, si offriva anche come pigmalione per la giovane ragazza.
Centotrentacinque minuti di tensione, con un io narrante, la figlia, che racconta la storia fino al confronto finale con la madre e al disvelamento dell’accaduto del sottaciuto e alla presentazione della diagnosi del padre, oramai morto di alzheimer, che aveva un singolarissimo feroce e criminale logos esistenziale. Un film che da vicenda intima si fa storia politica con l’intento di raccontare la complessità delle relazioni con un rigore sorprendente: il taglio femminile e quello maschile, anche se non così tragico vive spesso le stesse tensioni. Rachel, una donna che lavora, intelligente e resistente, incarna comunque quel femminile che costruisce la propria identità nella relazione, che riflette la frustrazione della domanda d’amore e la perdita di un oggetto d’amore, estranea al mondo che ha scelto e per il quale ha sacrificato la propria vita. Philippe è un intellettuale narcisista perverso: sotto l’influenza del suo io grandioso, cerca di istituire un legame di dipendenza facendo sentire l’altro in difetto; non può comprendere le emozioni altrui perché manca completamente di empatia; si sente importante, speciale e unico; tutto gli è dovuto e se la richiesta, come quella di Rachel, va oltre le sue intenzioni innesca un meccanismo di cattiveria distruttiva; il prossimo non esiste e la sua logica è inarrestabile. Centotrentacinque sono i minuti della seduta psicanalitica alla quale questo film ci sottopone; una devastante, inquietante narrazione, un incalzante percorso di frustrante comprensione delle motivazioni tutt’altro che razionali di chi per affermarsi ha necessità di distruggere.