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Skepto Film Fest: Lost face di Sean Meehan, da un racconto di Jack London

Sean Meehan crea un sottile e crudo cortometraggio del quale firma sia la regia che la sceneggiatura, dal titolo Lost Face, ispirandosi a un racconto del noto scrittore Jack London, da lui dichiaratamente scelto per la capacità di raccontare storie che sono apparentemente semplici ma in realtà estremamente stratificate

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Sean Meehan crea un sottile e crudo cortometraggio del quale firma sia la regia che la sceneggiatura, dal titolo Lost Face, ispirandosi a un racconto del noto scrittore Jack London, da lui dichiaratamente scelto per la capacità di raccontare storie che sono apparentemente semplici ma in realtà estremamente stratificate. Si tratta di una coproduzione australiano-canadese, caratterizzata da un linguaggio duro, aspro, inverecondo, in sintonia con una fotografia gelida come l’ambientazione della storia che mette in scena e da un registro palesemente schietto, che sfida lo spettatore, coerentemente con la sfida che vede  i due protagonisti al centro di un gioco di potere nel quale il perseguimento dello stesso e della vittoria supera perfino l’istinto di sopravvivenza.

Il contesto di partenza è quello in cui Subienkow, penultimo sopravvissuto di un gruppo di ladri di pellicce russi catturati e schiavizzati da una tribù di nativi nell’America Russa del 1800, vede morire tra le più atroci sofferenze e senza la minima pietà il suo compagno, che viene torturato lentamente, e durante lo strazio prende progressivamente coscienza che a breve lo aspetta la stessa fine. Così, si ritrova a dover escogitare qualcosa per evitare un epilogo troppo ingrato, oltre che di passare attraverso sofferenze fisiche dilanianti, rispetto alle quali il regista è molto bravo a mettere in scena una dimensione caratterizzata da un’atmosfera di terrore, e lo fa, in particolare, attraverso il suono, scandendo con fermezza le urla e il rumore dei colpi, e mediante l’utilizzo della violenza esplicita come elemento evocativo “triggerante”, che incute un senso di angoscia profonda, caratterizzata dalla consapevolezza che non ci sia alcuna speranza, che diventa sempre più pervasiva nell’attesa dei minuti successivi. Questo registro ricorda un po’ la modalità con cui la violenza viene espressa nel primo film di Craig Zahler, Bone Tomahawk (2015), in cui gli abitanti di una cittadina erano vittima dei rapimenti di una tribù di trogloditi dediti al cannibalismo.

Il regista racconta di aver esplorato diversi luoghi per trovare quello che riproducesse al meglio quel mondo senza tempo, quasi distopico, descritto da London, finendo per girare il film in un ranch ai piedi delle Montagne Rocciose canadesi. È una storia che parla di tante cose, quella di London, ripresa e adattata da Meehan, che va al di là di quello che vediamo, al di là del racconto dei fatti, della descrizione degli eventi, che già di per sé è pregna di pathos. È una storia che ognuno di noi può vivere in modo soggettivo a seconda degli stati d’animo che suscita identificarsi in una determinata condizione, di prostrazione, di prevaricazione, di perdita, di speranza, di faccia a faccia con la morte, ma anche di competizione, sarcasmo, narcisismo, autocompiacimento. Sono stati d’animo che possono andare dalla rabbia alla disperazione, dal senso di potenza al terrore, con un costante sottofondo di angoscia mitigato dal cinismo e dal sarcasmo che permeano sottili fino a palesarsi e rivelarsi occupando tutto il loro spazio nel finale.

Il corto è stato girato in tre giorni, non senza difficoltà. Sembra che a un certo punto la neve si sia sciolta e la troupe sia stata costretta a recuperarne due camion dalle foreste vicine e spargerlo in giro. Ma il regista ha dichiarato di essere stato alla fine più soddisfatto del risultato, perché il fatto che la mancanza di neve abbia esposto una maggiore superficie rocciosa ha conferito, a suo parere, un aspetto ancora più cupo e inquietante di quello che si sarebbe ottenuto con la neve bianca e soffice. Un altro elemento importante per riprodurre fedelmente il racconto, o quantomeno la sua atmosfera, è stato l’avvalersi, per il cast, di attori realmente nativi di quei luoghi. Più specificamente, la storia originale di Jack London è ambientata nell’America russa, che ora è l’Alaska, e la tribù è il Nulato. Per vari motivi di produzione, la troupe ha girato a Calgary ,dove le tribù principali sono i Blackfoot e i Cree, quindi si è adattata la storia alla cultura Cree, che ha avuto esperienze molto simili al Nulato quando si trattava dei commercianti di pellicce. Quasi tutto il cast è costituito da attori che sono Blackfoot o Cree e tra loro anche diversi madrelingua.

Un cast estremamente generoso, come afferma il regista in un’intervista rilasciata durante la presentazione del film in uno dei vari festival in cui ha girato. Le riprese si facevano a temperature bassissime e loro erano tutti in abbigliamento d’epoca, il che significava che erano costantemente congelati. Meehan racconta che è stato acceso il fuoco per tutto il tempo e approntata una piccola stanza con stufe dove ci si poteva riscaldare tra una ripresa e l’altra, ma Sheldon, l’attore che interpreta Il Grande Ivan, ha passato tutto il tempo senza un cappotto, con i piedi sul terreno ghiacciato, mentre un altro attore, Morris Birdyellowhead, aveva solo uno strato di vestiti per tutto il tempo. Nessuno di loro si è mai lamentato. “Tutti erano incredibilmente generosi e di buon umore durante le riprese. È stato un set molto felice.

Un bel lavoro, quindi, in tutti i sensi, sia per chi lo ha girato, che per chi ci ha lavorato, oltre che, ovviamente, ultimo ma non meno important,e per lo spettatore che lo vede, che si  trova a fruire di un prodotto molto ben confezionato e coinvolgente. Allo Skepto Film Fest di Cagliari, tra i finalisti proiettati durante la seconda giornata.

  • Anno: 2016
  • Durata: 14'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Australia, Canada
  • Regia: Sean Meehan