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Momenti di Trascurabile Felicità: intervista a Daniele Luchetti

Il suo ultimo film, Momenti di Trascurabile Felicità, con protagonista Pif, è ora nelle sale. Abbiamo incontrato Daniele Luchetti per parlarne

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I libri da cui è tratto il tuo nuovo film sono due, Momenti di Trascurabile Felicità e Momenti di Trascurabile Infelicità: cosa ti ha spinto a scegliere il primo invece che il secondo per dare il titolo alla trasposizione?

Guarda, è stata una cosa davvero del tutto casuale: anzi, ti dirò che all’inizio il titolo doveva essere Momenti di Trascurabile Felicità/Infelicità: ci siamo però accorti che era troppo lungo e, soprattutto, troppo difficile da pronunciare! E allora, all’ultimo momento, abbiamo optato per Felicità, così si dava anche un messaggio un po’ più solare e ottimistico…

Pif è straniante, all’interno della tua filmografia è una scelta molto poco ovvia: eppure è perfetto, perché contribuisce a dare un certo tono stralunato. Come hai deciso di affidare a lui il ruolo?

Pif è stato suggerito dai produttori, che mi hanno detto di pensare se poteva essere adatto: è stata però una scelta spontanea ma soprattutto perfetta, perché, come dici, un certo tono (che era quello poi che io volevo) a tutto il racconto lo dà proprio lui, con quel suo essere contemporaneamente tutto e il contrario di tutto. Perché Pif potrebbe essere drammatico, comico, serio, commovente, sempre con la stessa faccia, avevo bisogno di uno come lui. Per farti capire: mi serviva uno come Totò, che ha quella gamma impressionante di sfumature incredibilmente in poche espressioni. Se avessi messo qualcun altro, inevitabilmente il film sarebbe stato diverso: cioè, o drammatico, o comico, ma non tutti insieme.

Cosa hai levato e cosa hai aggiunto dai libri al film?

È facile capirlo, basta fare il confronto: a parte gli scherzi, cerco sempre di mettere molto di me nei film, anche se poi è un’operazione che viene fuori in maniera naturale, senza pensarci. Diciamo che è la “condanna degli autori”: mettere se stessi nei film anche senza volerlo. Ogni film poi è frutto di una “relazione”: in questo caso, la relazione tra me e Pif ha dato questo particolare mood.

In quasi tutti i tuoi film, come anche in Io Sono Tempesta, anche quando non sembra c’è sempre la politica, che investe il privato. Invece, in Momenti è completamente assente. Forse perché la situazione che viviamo adesso è già grottesca e trasfigurata di per sé?

No, penso semplicemente che questo sia un film che parla ai sentimenti, e nel discorso è bello escludere il sociale. Perché il sociale invade completamente le nostre vite, nella realtà di ogni giorno, dalle difficoltà politiche a quelle economiche che ci devastano quotidianamente: quindi, volevo fare un film nel quale il mondo non è com’è, ma come vorrei io che fosse, dove le persone non hanno problemi e non hanno né tempo, né voglia, di pensare alla politica e al sociale, ma si dedicano esclusivamente ai sentimenti, alle loro relazioni. È come una fiaba. Un mondo come vorrei che fosse, appunto.

Forse anche questa presa di posizione è qualcosa di fortemente politico in senso ampio.

Si, questi personaggi sono come le “commedie degli attici”, come le chiama Woody Allen: cioè di quelle persone che vivono negli attici al di sopra di tutto e parlano tra di loro solo dei loro sentimenti.

Il cinema è inflazionato da saghe, sequel, reboot e remake: hai mai pensato di girare il seguito di una storia raccontata prima, il sequel di un tuo film? Che poi, i tuoi film si presterebbero perfettamente, penso al politico de Il portaborse o agli alunni e professori de La Scuola.

Si, ci ho pensato spesso e ci penso sempre. Anzi, ho sempre pensato che il personaggio di Silvio Orlando ne Il portaborse l’avrei recuperato altrove, l’avrei voluto portare in altre situazioni. Poi, magari, non ti vengono le idee sufficientemente buone, e non sono uno che ama ripetersi: mi piace sempre ricominciare da capo, anche magari prendendomi dei rischi. Ogni volta che inizio un nuovo film mi sento dire “questo film è diverso da tutti quelli precedenti!”, e non so se è un pregio o un difetto, ma non mi piace essere somigliante sempre a me stesso. Ci sono registi che ripetono le stesse cose perché hanno paura di perdere l’identità: io invece ho la paura opposta. Questo può creare una disaffezione, mi alieno un certo pubblico, ma io sono fatto così. Ogni film lo vivo come se fosse un primo film, un’opera prima. Però mi tenta da molto tempo fare Mio fratello è figlio unico dal punto di vista del personaggio di Scamarcio, cioè lo stesso identico film, gli stessi identici eventi, però da un altro punto di vista diametralmente opposto a quello già visto e approfondito. Ci sono spesso dei personaggi a cui sono molto affezionato.

Una serialità TV?

Si, anche questo è un campo che mi interessa. Ci sto pensando e la sto scrivendo: spero entro qualche mese di poter annunciare la mia serie.

GianLorenzo Franzì

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