The town di Ben Affleck (Venezia 67esima edizione)
“L’idea di partenza poteva portare a un film pressoché perfetto, se non fosse per la macchina Hollywoodiana che spinge verso territori più addomesticati. Affleck si cala nuovamente nella violenza dei sobborghi e tutto il cerchio quadra…tranne lui. Infatti, è il personaggio di Doug a far ritornare la situazione realistica nei territori del cinema, quello di Hollywood, quello in cui il buono è buono e il cattivo è cattivo”.
Che Ben Affleck non fosse uno stupido si era capito da un po’ di tempo, grazie alle scelte produttive decisamente distanti dallo standard del suo lavoro di attore e, soprattutto, grazie al suo film d’esordio alla regia, Gone Baby Gone, che sorprendeva per quanto si mostrava lucido e solido.
Con The Town, al varco c’è ancora Boston, questa volta altri bassifondi, quelli di Charlestown, dove le rapine a mano armata sono diventate all’ordine del giorno. La gangdi Doug MacRay ha la mano facile a farsi furgoni portavalori e banche. Sono un gruppo affiatato e, nonostante sia il più violento e incontrollabile del gruppo, Doug ha un rapporto fraterno soprattutto con Jem. Durante una rapina viene presa in ostaggio una ragazza, che ovviamente non può riconoscere i volti mascherati degli assalitori, e poi viene rilasciata subito dopo. La banda se l’è cavata un’altra volta, nonostante l’FBI gli stia alle costole, ma Doug decide di frequentare e innamorasi di Claire, la donna che avevano sequestrato. Finendo qui la narrazione, è subito evidente che l’assunto arriva a un punto folle. Nessun criminale si arrischierebbe in un azzardo del genere. E, in effetti, le conseguenze di questo gesto saranno assurde.
In realtà, l’idea di partenza poteva portare a un film pressoché perfetto, se non fosse per la macchina Hollywoodiana che spinge verso territori più addomesticati. Affleck si cala nuovamente nella violenza dei sobborghi e tutto il cerchio quadra…tranne lui. Infatti, è il personaggio di Doug a far ritornare la situazione realistica nei territori del cinema, quello di Hollywood, quello in cui il buono è buono e il cattivo è cattivo. Peccato, perché è un elemento, certamente fondamentale, che stona in un film potenzialmente entusiasmante, puro noir vecchio stile, ma con una regia moderna e solida.
Le scene d’azione sono genuine e spettacolari, soprattutto la lunga rapina e l’inseguimento in cui i membri della gang si travestono da suore, cosa che potrebbe far ridere, ma diventa di un tono grottesco in una situazione di pura tensione.
Affleck, dopo anni di prese per i fondelli per la sua figura da bamboccione, si sta dirigendo verso ottimi lidi (il maestro è evidentemente Clint Eastwood) e se viene da bacchettare alcune sbavature in questa sua vita da regista è perché speriamo sempre nel miglior prodotto possibile, e intravediamo un nuovo cavallo di razza nella Hollywood del cinema noir. Per ora promosso comunque, ma speriamo che torni alla libertà di Gone Baby Gone nel prossimo film.
Gianluigi Perrone
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