Prima (e speriamo unica) delusione dal 29 Fescaaal – Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina. In concorso è apparso Loveling del brasiliano Gustavo Pizzi, che racconta la storia di Irene (Karine Teles) e della sua famiglia che, insieme al marito, la sorella e i quattro figli affrontano piccoli e grandi drammi. L’innesco della storia l’abbiamo quando il figlio maggiore, portiere in una squadra di pallamano locale, è ingaggiato da un club professionista tedesco. All’inizio la famiglia reagisce con grande felicità, ma la madre non riesce a farsene una ragione e la lontananza dall’amato primogenito diventa doloroso per lei. Su questa trama principale in Loveling s’innestano altre due storie parallele. La prima è il rapporto con il marito, un uomo buono, amorevole con la moglie e padre premuroso dei figli, un sognatore che si avventura in improbabili imprese fallimentari, cercando di vendere la casa al mare per investire in un centro sciistico da ristrutturare. La seconda sottotrama è fornita dalla sorella di Irene, che si separa dal marito violento e con il proprio figlio si rifugia da Irene che l’accoglie creando una grande famiglia allargata. Tra scontri con il cognato, che cerca in tutti i modi di recuperare moglie e figlio, lunghi dialoghi con il marito, cercando di persuaderlo a rinunciare all’ennesima avventura imprenditoriale dallo scarso successo, dal tentativo di persuadere il figlio a partire per la Germania, Loveling disegna i rapporti tra i vari personaggi tra litigi, pianti e rappacificazioni.
Pizzi – autore anche della sceneggiatura insieme alla protagonista del film, Karine Teles – imbastisce una commedia che spesso scade nel sentimentalismo e – complice la Teles nel suo doppio ruolo – lascia troppo spazio alla protagonista, che precipita spesso in una recitazione sopra le righe, gigionesca e manierata. L’incontrollabilità della Teles da parte di Pizzi crea un continuo dislivello nella diegesi, rendendo stucchevoli molte sequenze, in particolare quando Irene in scena scoppia in accessi emotivi che si trasformano in eccessi isterici scompaginanti la struttura da commedia. Alla base di Loveling c’è il legame esclusivo di Irene con il figlio maggiore che respinge gli altri tre più piccoli e anche i restanti componenti della famiglia. Pizzi inquadra più volte con riprese dall’alto Irene su una ciambella che galleggia sul mare, con in braccio in posizione fetale il proprio rampollo, rafforzando anche formalmente l’impossibilità di recidere il cordone ombelicale da parte di Irene. Immerso in una fotografia solare e dai colori saturi e da cartolina, Loveling risulta immerso in una melassa emotiva che rende la commedia melensa e, alla fine, ripetitiva nelle sue iterazioni da parte di una donna che non riesce a donare la dovuta libertà a un giovane che vuole crescere e affrontare la vita. Troppo o troppo poco per sorreggere l’intera pellicola.