Presentato fuori concorso a Cannes nel 1990, Artificial Paradise (Umetni raj), viene in genere considerato l’ultimo grande film realizzato in Jugoslavia, prima che la situazione precipitasse e si desse inizio alla frammentazione dello stato federale. Ciò inevitabilmente accresce l’alone leggendario di una pellicola che già di suo possiede un fascino particolare, decadente e crepuscolare.
Tra cinefilia e turbamenti di natura sessuale, tra pessimismo sociologico e sogno, Karpo Godina è riuscito qui ad affrescare eterei tableaux vivants, nei quali sono gli stessi riferimenti metacinematografici a vibrare con insolita intensità. Tra eros e thanatos. Facendo sì che a brillare sia quell’andamento rapsodico, cosparso di ellissi e salti temporali, le cui atmosfere sognanti accarezzano il residuale vitalismo dei personaggi per produrre poi una tenue malinconia.
Nel film Jürgen Morche, la cui aderenza al personaggio è impressionante anche sotto il profilo fisiognomico, interpreta Fritz Lang, l’immenso cineasta originario di Vienna. Nelle prime scene di Artificial Paradise lo vediamo agli albori della sua esperienza hollywoodiana, in una cornice stilizzata che Karpo Godina è abile a rendere tramite poche, sapienti pennellate. Come in un gioco di scatole cinesi, una simile ambientazione è solo l’involucro del lungo flashback che sposta l’azione direttamente nei Balcani: la sceneggiatura del film pone infatti in primo piano una poco nota aneddotica, che vuole Lang fare amicizia con un pioniere del cinema jugoslavo, Karol Gatnik (interpretato con una certa classe dall’attore sloveno Vlado Novák), negli anni in cui il futuro regista prestava servizio da ufficiale nell’esercito Asburgico.
Girato in costume ma con un tocco straniante e barocco che incide di frequente sui canoni della rappresentazione, orientandola verso orizzonti libertari e lussuriosi come pure verso un senso di imminente tragedia, Artificial Paradise risulta costantemente arricchito da quegli inserti metacinematografici, mai banali, che interagiscono in modo proficuo con la narrazione. Dalle forse più scontate citazioni del cinema di Fritz Lang, Metropolis e I Nibelughi in primis, al toccante omaggio riservato, attraverso una delle non moltissime scene dei suoi film ancora conservate, allo stesso Karol Gatnik. Il personaggio di Lang continua a barcamenarsi tra il peso di struggenti ricordi ed un presente carico di incertezze, personali ed artistiche, fino a quell’epilogo di rara bellezza, ancorato anch’esso alla natura effimera ma potenzialmente immortale di un set cinematografico.