Là dove il cinema incontra il teatro: con il cortometraggio Good day for the Bad Guys, Peter Mullan ci porta in scena con la favola nera di Cappuccetto rosso. Sul palco, quattro attori, nell’interpretazione di una tradizionale pantomima scozzese. Lo stesso regista interpreta magistralmente John, la Bestia cattiva che attacca la Bella, vessato in scena e dietro le quinte da un demoniaco Wee Jockie, protagonista dello spettacolo. L’incontro-scontro tra Bene e Male, che si confondono e si invertono in scena e nella vita reale. Il teatro è l’apparenza, la maschera dietro cui si nasconde il vero volto dei protagonisti; è nel backstage, il ‘dietro le quinte’, che si sviluppa l’essenza del film e il realismo di Peter Mullan, quello di una umanità fallita ed avvilente.
In Good day for the Bad Guys il regista descrive un microcosmo intriso di violenza e sopraffazione; il piccolo teatro è in realtà un inferno nel quale i tre attori sono intrappolati da un luciferino primo attore, Wee Jockie, che molesta sessualmente la prima attrice e minaccia di licenziamento John che prova a difenderla, trovandosi suo malgrado inerme. Lo sguardo di Mullan si sofferma su quello scavato del protagonista buono, il se stesso Peter che si vede attraverso gli occhi di John, la sua sofferenza che rivela in parte quella dello stesso regista, cresciuto in un difficile contesto familiare e sociale. E con quello sguardo inchioda lo spettatore quasi in un atto d’accusa, quale parte senziente di un sistema sociale corrotto e malato.
Nel mondo descritto da Mullan non vi è speranza, non c’è possibilità di fuga, gli attori sono intrappolati nel loro camerino, una prigione in cui scontano una condanna all’ergastolo, e dove Wee Jockie è un moderno Kapò. E la speranza si dissolve definitivamente nel finale; in quel bel giorno che consacra i buoni ‘cattivi ragazzi’. Bene e Male si confondono e si invertono. E non ci sarà redenzione.
Michela Aloisi