Il diritto di uccidere (Eye in the Sky), un film del 2015 diretto da Gavin Hood. Con la direzione della fotografia di Haris Zambarloukos, le scenografie di Johnny Breedt, i costumi di Ruy Filipe e le musiche di Paul Hepker e Mark Kilian, Il diritto di uccidere è un thriller che racconta i retroscena della guerra contemporanea, condotta a distanza attraverso l’uso dei droni. Il film è stato presentata al Toronto International Film Festival l’11 settembre 2015. Successivamente è stato distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi nella primavera 2016, mentre nelle sale italiane a partire dal 25 agosto 2016. Con Aaron Paul, Alan Rickman, Helen Mirren, Iain Glen, Phoebe Fox, Barkhad Abdi, Carl Beukes, Richard McCabe, Babou Ceesay, Tyrone Keogh.
Sinossi
Il colonnello Katherine Powell, militare dell’intelligence, conduce un’operazione remota con droni per rintracciare i terroristi a Nairobi. Tuttavia, quando si scopre che questi si stanno preparando per una missione suicida, si decide che si deve intervenire in maniera diversa. I problemi sorgono nel momento in cui il pilota Steve Watts vede una bambina di nove anni camminare a destra dell’obiettivo da colpire e chiede ordini sul da fare ai superiori, incluso il ministro degli esteri.
Il regista Gavin Hood sul film: “Da regista, mi attirava il fatto che il film solleva questioni complesse sul ruolo dei droni armati come strumento di esecuzione giudiziaria nei confronti di chiunque sia sospettato di terrorismo o estremismo. La credibilità morale dell’Occidente a seguito degli attacchi via drone è al centro di un acceso dibattito internazionale per via delle inevitabili morti di civili innocenti. I giovani piloti che a distanza comandano le armi sanno che il loro lavoro può comportare il sacrificio di vite umane innocenti. Il cosiddetto “danno collaterale” è qualcosa di molto tragico, quasi illegale secondo la legge internazionale: i responsabili degli attacchi a distanza possono eventualmente essere considerati come colpevoli di crimini di guerra“.
“La prima vittima della guerra è la verità” leggiamo in una didascalia all’inizio del film Eye in the Sky (titolo originale). La citazione classica del tragediografo Eschilo è stranamente l’unica cosa inadatta a introdurre questa ottima drammatizzazione cinematografica che per tutto il tempo a disposizione cerca ostinatamente di svelarci le verità che stanno dietro al terrorismo islamico. In filosofia per avvicinarsi alla verità sono necessarie sincerità, precisione e completezza. Ebbene Il diritto di uccidere, pur essendo una fiction che deve tenere alta l’attenzione del pubblico con la suspense, è una descrizione molto, molto verosimile di quel che accade in questi maledetti anni traviati da stragi e massacri. La locazione scelta dal regista Gavin Hood è in Kenia, dove i guai grossi sono determinati dalla presenza di Al Shaabab (una fazione di fondamentalisti che proprio mentre stiamo scrivendo ha compiuto l’ennesima infamia nel Corno d’Africa). Militari inglesi e americani intervengono, con armi sofisticatissime, per catturare due ricercati internazionali e durante l’operazione scoprono che essi stanno per realizzare un gigantesco attentato dinamitardo contro i civili. La regia merita un voto alto, perché non dà il solito asfissiante gioco di effetti speciali fanciulleschi. Gli attori, tutti con facce equilibrate e non da catalogo, puntano la loro bravura sull’ imitazione sobria di quel che presumibilmente accade nelle stanze segrete del potere. Eppoi, è confortante la ‘flessibilità buona’ di soldati che pur dovendo eseguire ordini micidiali, affrontano con coraggio e intelligenza la situazione criticissima. Cosa riusciamo a pensare di fronte a tanto show? Che i politici sono codardi perché devono pensare agli effetti elettorali delle loro decisioni; che i bambini più sfortunati crescono in Stati dominati da pesanti conflitti ideologici; che i militari puntano gli obiettivi, tralasciando troppo superficialmente i danni collaterali ai civili. Che noi esseri umani non costruiremo, con lungimiranza, il futuro del nostro mondo fino a quando non risponderemo a un’unica domanda: chi dà le armi ai terroristi? Helen Mirren (il colonnello Powell) è perfetta nella recitazione, ma il suo personaggio è portatore di dolore. Una donna militare così risoluta ci auguriamo che non esista mai da nessuna parte del mondo. Storicamente le guerre sono state volute dagli uomini che per natura hanno una coscienza corrotta dalla violenza, le donne sono le sorgenti e il nutrimento della vita stessa. Vederne una vestita in abiti marziali e così cinica nel combattimento certamente non rafforza la nostra speranza di vivere in un futuro migliore. Alan Rickman (il generale Benson) è scomparso recentemente. È stato un grande attore londinese. In questo suo ultimo film è sorprendente come egli descrive la morte con ironico fatalismo; lo stesso gli sarà servito per presentarsi ad essa quando è stato convocato.