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Il terzo tempo secondo Netflix: Grace and Frankie e The Kominsky Method.

Il trionfo di Michael Douglas ai Golden Globe con The Kominsky Method segna un'esperienza dove l'attore è anche produttore esecutivo, un'avventura in cui si erano già imbarcate due sue colleghe eccellenti: Jane Fonda e Lily Tomlin, attrici protagoniste di un’altra serie di casa Netflix, Grace and Frankie, uscita nel 2015 e ancora in corso. L'eccellente cast di attori delle due serie, e il loro confrontarsi, nonostante l'età, con una nuova forma di racconto, sono la prova che si può dare il massimo anche passati i settanta.

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Una cosa ormai l’abbiamo capita: dall’avvento di Netflix e delle altre piattaforme streaming, tra cinema e serialità c’è stato e continua a esserci un continuo scambio, sia nella scrittura che nella regia ma soprattutto negli attori.

Se a essere stati premiati agli ultimi Oscar come migliori attori protagonista e non protagonista sono stati proprio due volti noti al mondo delle serie, Rami Malek, il Freddie Mercury di Bohemian Rhapsody, protagonista della serie Mr Robot, e Mahershala Ali, tra gli interpreti del pluripremiato Green Book,  protagonista della terza stagione della serie HBO True Detective, alcune vecchie glorie del cinema internazionale hanno deciso di rimettersi in gioco nella nuova forma di racconto, sia in veste di attori che di produttori.

Reduce dal trionfo ai Golden Globe, dove si è accaparrato il premio di miglior attore per la sua interpretazione nella serie comedy  Netflix, The Kominsky Method, Michael Douglas porta a casa non soltanto un successo personale ma anche la conferma della seconda stagione, arrivata da Netflix proprio all’indomani della sua vittoria.

Non male per un uomo di 74 anni con una carriera di tutto rispetto nel teatro, in televisione e nel cinema, un Oscar per un ruolo drammatico (quello di Gordon Gekko in Wall Street di Oliver Stone) e la voglia di rischiare ancora in prima persona. Infatti in The Kominsky Method  Douglas è anche produttore esecutivo, alla sua prima collaborazione con lo sceneggiatore Chuck Lorre, ideatore della fortunata serie The Big Bang Theory e dello spin off Young Sheldon.

Una nuova avventura, quella di produttore esecutivo di una serie tv, in cui si erano già imbarcate due colleghe eccellenti di Michael Douglas: Jane Fonda e Lily Tomlin, attrici protagoniste di un’altra serie Netflix, Grace and Frankie, uscita nel 2015 e che dopo una gloriosa quinta stagione che si è conclusa lo scorso gennaio, si appresta a realizzarne una sesta.

Molti i punti in comune di queste due esperienze, oltre al fatto che siano targate Netflix, cosa che Michael Douglas ha molto apprezzato anche per la facilità di una scrittura che non debba sottostare alle interruzioni pubblicitarie, anche l’alta qualità del cast di attori che ruota intorno ai protagonisti.

Alan Arkin è l’alter ego di Sandy Kominsky-Michael Douglas, sua “moglie” è Susan Sullivan e non manca uno spassosissimo cameo di Danny De Vito (nei panni di un bizzarro urologo); in Grace and Frankie, a causare lo scompenso alle due donne, che diventeranno amiche proprio a causa dell’abbandono dei rispettivi mariti, sono due attori di lungo corso quali Martin Sheen e Sam Waterson, che hanno da sempre riscosso successo sia al cinema che nella serialità (Martin Sheen è stato protagonista delle sette stagioni del political drama West Wing, e Sam Waterson è stato il procuratore Jack McCoy in sedici stagioni della serie evergreen Law and Order)  e che in questa serie danno prova di recitazione, professionalità ed eleganza, nei panni di due uomini che a 70 anni decidono di uscire allo scoperto e vivere la propria omosessualità.

Per i temi trattati, già dalla prima stagione di Grace and Frankie nel 2015, Marta Kauffman, ideatrice e sceneggiatrice della serie (e autrice di altre serie fortunate come Friends e Will and Grace) lo sbocco inevitabile era una piattaforma streaming. Netflix ha concesso una libertà molto ampia sui temi trattati. Che cosa succede quando una donna resta sola in età avanzata? Kaufmann si è posta questa domanda, che a parte la storica serie Golden Girls  andata in onda su NBC dal 1985 al 1992, non aveva mai trovato risposte, e ha costruito un universo di personaggi che potesse toccare temi mai trattati prima in un prodotto simile. La secchezza vaginale, la masturbazione, l’uso del vibratore, la ricerca del piacere, nessuno mai avrebbe potuto pensare che passati i 70 anni ci si potessero porre certi problemi.

La vita media si sta allungando ed è Sam Waterson nel personaggio di Sol, marito di Lily TomlinFrankie a seminare nel pilot il tema di serie: “Come sapete, miglioriamo con l’età e siamo sul punto di inaugurare un nuovo capitolo nel libro della vita pieno di possibilità e cambiamento.”  Quello che segue è una commedia brillante che dura da cinque stagioni, scritta attraversando una varietà infinita di situazioni da un gruppo di autori di età che spazia dai trenta ai sessant’anni, senza tralasciare mai i problemi fisici e psicologici legati all’età, a un mondo che va sempre più veloce e in cui si (ri)scoprono nuovi affetti con cui affrontare le difficoltà.

Dopo essere state lasciate dai rispettivi mariti, Grace e Frankie trovano altri amori ma il sentimento che sembra sopravvivere più forte è la loro amicizia, nata dopo l’abbandono dei mariti, che si rinsalda stagione dopo stagione in un’altalena di situazioni contrastanti che portano i due personaggi a crescere proprio grazie al confronto l’una con l’altra.

Chuck Lorre ha scritto The Kominsky Method pensando a cosa può succedere quando il corpo inizia a non essere più quello di una volta, quando si iniziano a perdere le persone care e quando la tecnologia fa sentire emarginati, perché non si è più in grado di stare al passo. Prima o poi tutti affronteremo questa fase, anche se dentro di noi fatichiamo ad accettare la vera età anagrafica.

Lorre pianta questa contraddizione in un protagonista che da giovane era bello e famoso e ora, che non è più ricercato, insegna il suo metodo a giovani e promettenti attori. Nel monologo di presentazione del corso di recitazione fa un’importante premessa: se è vero che gli attori fingono per recitare, è anche vero che giocano a fare Dio, creando personaggi e disponendo per loro, nel bene e nel male, e  “Come Dio dobbiamo amare le nostre creature, dobbiamo riempirle di vita, di personalità di sogni e di speranze e di difetti fatali, e poi, poi, dobbiamo lasciarle andare.”

Il tema di serie si delinea proprio in questo amore verso la propria creatura, con tutte le debolezze e tutti i difetti, una creatura che deve essere lasciata libera di andare e, soprattutto, di confrontarsi e riconoscersi nell’altro. Sandy Kominsky ha tre ex-mogli, una figlia e un amore in corso, ma il suo sentimento più forte è quello verso l’amico Norman Newlander (Alan Arkin), noto agente di Hollywood che cerca di sopravvivere alla perdita dell’adorata moglie, facendo ricorso al suo carattere di facciata, che lo vuole un po’ cinico e ruvido, ma che non può fare a meno di lasciarsi andare chiedendo aiuto all’amico di sempre.

Due coppie di amici decisamente brillanti, in cui si arriva ad un’affinità tra personaggi che lascia pensare ad un’amicizia anche tra attori: questo è vero per Jane Fonda e Lily Tomlin, che avevano già recitato insieme nel 1980 in From 9 to 5 di Colin Higgins e che condividono da anni un rapporto di affetto e di passione per l’attivismo sociale, ma non è altrettanto vero per Michael Douglas e il due volte premio Oscar Alan Arkin, che prima di The Kominsky Method non si erano mai conosciuti.

Entrambe le serie sono frutto del fatto che i tempi cambiano e bisogna afferrarne il meglio per crescere e far crescere: essere legati ai vecchi schemi del passato non porta da nessuna parte. In termini di sceneggiatura, da sempre condizionata dalla pubblicità, sia negli argomenti, che nei tempi da rispettare per le interruzioni pubblicitarie, la libertà creativa delle piattaforme streaming consente di esplorare temi finora considerati tabu, o, ancora peggio, mai nemmeno considerati.

Il fatto che attori che hanno superato la soglia dei settanta si mettano in gioco sia dal punto di vista recitativo che produttivo è un segnale importante su come, ciascuno entro i propri limiti, si può e si deve affrontare il terzo tempo della vita.

 

 

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