Presentato nella sezione Visti a vicino del 37 Bergamo Film Meeting, Eastern Memories (G.J. Ramstedtin Maailma) di Martti Kaartinen e Niklas Kullstrom è molto più di un documentario. È il racconto di un mondo, il mondo di G.J. Ramstedt, del suo viaggio alla ricerca delle origini della lingua finlandese nella lontana Mongolia, dove i finlandesi sentono fortemente il “feeling home“: pur senza relazione linguistica, infatti, in Mongolia si sentono a casa, tanto che lo stesso Ramstedt verrà accolto come ‘anima antica mongola’; uno studio linguistico che diventa un viaggio dal respiro più ampio, di esplorazione, spiritualità e geopolitica. Un film che ha i tratti del documentario, con accurate scene di vita quotidiana e immagini di repertorio, ma che appassiona come un road movie, che ci porta insieme a Ramstedt dalla Mongolia fino al Giappone, in un viaggio legato al tempo, una visione tra passato e futuro che ci mostra il cambiamento completo avvenuto in queste terre nel corso di un secolo, messo in risalto dalla riuscita unione di immagini contemporanee con frasi estratte da un libro scritto un secolo fa.
La storia di Ramstedt inizia con un viaggio di studi linguistici, ma i suoi legami con importanti leader mongoli e con Agvan Dotzhiev, membro del governo tibetano e collegamento diplomatico del 13° Dalai Lama con l’Impero Russo, gli conferiranno un ruolo ben diverso. Costretto alla fuga durante la rivolta dei Boxer, salvato nella steppa da una famiglia contadina, rientrato in patria, si troverà in seguito a fare da mediatore con il governo imperiale russo per sostenere l’indipendenza della Mongolia dall’impero cinese; e sarà poi testimone del passaggio dalla Mongolia libera all’assoggettamento a Mosca. In seguito all’indipendenza della Finlandia verrà inviato come diplomatico in Giappone, dove rimase 10 anni ed aiutò, tra l’altro, a risolvere la disputa delle Isole Åland.
Oltre a quello geopolitico, altro aspetto fondamentale di Eastern Memories è l’importanza della spiritualità; aspetto spirituale e materiale convivono in queste lontane regioni asiatiche, dove è preponderante la presenza di monaci; una spiritualità che, ad esempio, in Giappone, qui mostrato nei suoi contrasti tra cultura antica e vita moderna, viene trovata finanche nei manga, come testimonia una disegnatrice giapponese. Se nella nostra cultura la spiritualità si è affievolita, se si pensa sempre al futuro e non alla storia, se manca la coscienza della continuità tra passato e futuro, non è così nel mondo vissuto da Ramstedt, dove prevedere il futuro soprattutto da parte dei monaci è la norma, ed è in connessione col passato; e ci testimonia uno dei registi, Martti Kaartinen, presente in sala alla proiezione, che se la Mongolia rappresenta ancora ciò che resta di questa cultura spirituale passata, “C’è ancora speranza”.
Nota speciale poi per la colonna sonora, che mostra una ricerca approfondita nell’unione tra musiche tradizionali locali e altre moderne (notevole il rap mongolo), per enfatizzare sentimenti e sensazioni provocate dalle immagini del film, immagini già di per sé perfette che rendono, insieme alla musica ed alla realizzazione della storia, il film un piccolo capolavoro del genere.
Michela Aloisi