Il delta del Danubio, un microcosmo arcaico e isolato, dove le preghiere sembrano viaggiare più veloci dei moderni mezzi di comunicazione e la desolazione stessa assume contorni poetici. Quantomeno di fronte allo sguardo ispirato del cineasta ucraino Oleksandr Techynsky. Particolarmente interessante (e anche a rivelatrice, a nostro avviso) la sua biografia. Laureato in medicina a Dnipropetrovsk, ha lavorato da assistente medico in una squadra di emergenza psichiatrica. Ma dal 2001 ha mollato tutto per dedicarsi prima alla fotografia e successivamente ai documentari. Ebbene, tutto il variegato background dell’autore esce fuori energicamente dalle immagini così intense di Delta, film presentato alla trentasettesima edizione di Bergamo Film Meeting nella sezione “Visti da vicino”, fino ad ora una delle più interessanti.
Difatti, ciò che resta impresso di questa quasi ipnotica visione è tanto l’immediatezza del dato antropologico, focalizzato su personaggi cui non è estranea talvolta una condizione di disagio e sofferenza psichica, che il carattere pressoché unico del paesaggio, dell’ambiente circostante. E qui i trascorsi del Techynsky fotografo si fanno positivamente notare, a partire dalla composizione dell’inquadratura. Nel suo configurarsi quali documentario d’osservazione il cui impianto classico non lesina però concessioni all’ispirazione del momento, alla magia di determinati incontri e suggestioni ambientali, Delta diviene strada facendo umbratile elegia in grado di porre in risalto la scorza dura dei volti, i momenti di autentica devozione popolare, l’asprezza di relazioni umane spesso condizionate dall’abuso di (poco raffinate) bevande alcoliche e da lavori di sussistenza portati avanti in avverse condizioni atmosferiche. Macchine agricole impiegate per raccogliere covoni nei canneti, buchi nel ghiaccio per pescare e giornate intere in cui la nebbia rende lattiginoso il cielo fanno da contorno a questo riuscito ritratto di un ecosistema del tutto particolare, tanto estremo e per certi versi affascinante quanto espressione di una Natura insidiosa, poco incline a favorire la presenza dell’Uomo, che pure c’è e permette allo spettatore di compiere un vertiginoso balzo all’indietro attraverso stili di vita apparentemente immutati nel tempo.