L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo
(F.Nietzsche)
Border: orlare, delimitare, confinare, zona di confine.
Tina (Eva Melander) lavora in un luogo di confine, controlla i passeggeri alla dogana, ma lo fa con un fiuto sorprendente. Diversamente da un cane addestrato ad annusare la droga, lei individua, sempre attraverso il suo corpo fornito di meta-intuito, la colpa, il peccato, la vergogna, il reato; lei “sente” il male. È una donna decisamente goffa, con un volto ai limiti del mostruoso, molto responsabile e impegnata ad assistere il padre colpito da demenza senile. Vive con uno strano individuo che si occupa solo di gare di pitbull, la tradisce e tenta di avere approcci sessuali che lei rifiuta. Tina si concede passeggiate nel bosco nel quale vive, fa il bagno nuda e sembra a suo agio quando incontra animali quali la volpe e l’alce. Un giorno, mentre lavora, arriva Vore (Eero Milonoff), un uomo dai tratti mostruosi e lei ne fiuta la colpevolezza sebbene non si riescano ad identificare prove. Qualcosa li unisce fortemente; si frequentano, si scoprono, si amano e niente è come appare: lui non è un uomo, sebbene lo sembri, e lei non è “solo “ una donna sebbene lo sia. Tina scopre di essere una troll, proprio come Vore. Ma chi è un troll? “Secondo la mitologia, sono umanoidi che vivono nelle foreste dell’Europa settentrionale. Secondo le tradizioni orali sono creature ruvide, irsute e rozze, dotate di un grosso naso e di una coda dal folto pelo con solo quattro dita per ogni mano o piede. Vengono identificati due tipi di troll: uno di dimensioni gigantesche e dal comportamento maligno e uno di dimensioni umane dal comportamento benevolo. Si racconta che i troll rubino bambini alle famiglie mentre dormono e mettano nel letto un Changeling, oppure un cucciolo di trol”.
Tra Tina e Vore si evidenzia proprio questa differenza e sebbene dal loro incontro sessuale si sprigioni bestialità insieme a erotismo e tenerezza, scoprono il loro comune passato e destino e le loro incolmabili differenze. Mentre lui le esplicita il suo inesorabile progetto di vendetta sugli umani, lei si chiede se sia “umano” non voler fare male a nessuno. Anzi lei è devota al suo lavoro e alla sua causa di smascherare un giro di pedopornografia in un appartamento in perfetto stile Ikea di una coppia apparentemente perfetta.
Opera seconda di Ali Abbasi, danese di origini iraniane, Border è tratto da una novella di John Ajvide Lindqvist, autore del noto Lasciami entrare, nel quale era già evidente il messaggio del rapporto perso tra umano e naturale e del fecondo significato delle differenze. Sebbene il punto focale sia quello di raccontare figure umane e mitologiche, niente sembra più reale della trattazione delle vicende di questo film, con citazioni fotografiche-cinematografiche da Antichrist e Melancholia del connazionale Lars von Trier. Tina è una creatura ai confini dell’umano per il suo corpo, ma così umana per la sua etica, così diversa da tutti quegli umani che hanno massacrato i suoi genitori e i suoi simili commettendo così un genocidio mitologico. Il film, che è un condensato concentrato sul tema del limite, della disuguaglianza, della diversità e della differenza, rivela il confine tra il Mito e il Logos. Un’ontologia del significato che racchiude l’onticità di Vore, portatore Troll di male, sebbene già vittima di male umano, e la metaonticità di Tina portatrice-simbolo della differenza Troll. Laddove il Logos non rispetta tutto ciò che è sacro, mito, leggenda, mistero, tragico; si costruisce il regno della disuguaglianza sulla quale si staglia la tendenza a considerare normale quello che la pigrizia morale evita di modificare. Il film non esita a sottolineare con la magica, commovente figura di Tina il fatto che troppo spesso la normalità traduce l’esistente in norma, trascurando tutte le differenze e facendo assaporare quell’impossibilità della trasformazione che è la prima caratteristica di questa “donna” che, per questo e non per altro, diventa una creatura speciale. Un corpo, il suo, goffo e impacciato, nel quale però è ancora possibile l’eros, perché conserva l’ambivalenza e non si riduce a un significato univoco, così come è stato codificato; un gioco di nascondimento e non-nascondimento che non si adegua alla corrispondenza tra corpo e sesso, nell’omologante equivalenza che dissolve ogni ambivalenza simbolica.
Tina è tutto, è aldilà della mono-valenza di una sessualità resa per incanto tutta positiva: perché il suo corpo non è solo lavoro, come non è solo piacere; ha conservato la sua integrità sul lavoro, dove esercita il suo potere, e la sua integrità nel piacere, dove non cede a una sessualità univoca. Lei è in una zona di confine e non può cedere a un corpo reso inespressivo dalla negazione della sua parola: ambivalenza. Una storia che narra attraverso il Mito e che pertanto non “spiega” ma “evoca”, essendo il Mito non ciò che si pensa ma ciò in cui e da cui si pensa. Il mito allude, indica, richiama all’attenzione, proprio come fa questo film attraverso una figura mitologica che fa accadere qualcosa di impensabile, indicibile, scandaloso, paradossale e per questo unico.
Abbiamo disimparato a vedere, a udire, e in generale a sentire dal giorno che la scienza ci ha educato a dedurre ciò che dobbiamo vedere, udire e sentire.