Silence, un film del 2016 diretto da Martin Scorsese, che vede protagonisti gli attori Andrew Garfield, Adam Driver e Liam Neeson nei panni di tre padri gesuiti perseguitati in Giappone a causa della loro fede cristiana. Il film, che segna il ritorno alla collaborazione con Scorsese dello sceneggiatore Jay Cocks, che già aveva scritto per il regista i film Gangs of New York e L’età dell’innocenza, è tratto dal romanzo storico Silenzio dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, che ripropone appunto le persecuzioni subite dai cristiani durante il periodo Tokugawa nella prima metà del XVII secolo in Giappone. Dopo aver girato i precedenti due film ricorrendo alla cinepresa digitale, Martin Scorsese ha deciso che per Silence avrebbe utilizzato esclusivamente la pellicola 35 millimetri. Inizialmente il regista aveva scritturato Daniel Day-Lewis, Gael García Bernal e Benicio Del Toro, tuttavia hanno tutti abbandonato il progetto a causa dei ritardi continui nella lavorazione.
Sinossi
Giappone, XVII secolo. Padre Rodriguez (Andrew Garfield) e Padre Guarupe (Adam Driver) lasciano il Portogallo per addentrarsi nella controversa e ostile società nipponica e salvare il loro maestro, Padre Ferreira (Liam Neeson), accusato di abiura. I protagonisti sono infatti intenzionati ad analizzare i fatti ed eventualmente riportare il mentore sulla retta via. Il loro viaggio, però, oltre ad avere uno scopo meramente missionario ed evangelico, si rivelerà anche spirituale e cominceranno a chiedersi perché il loro amato Dio assiste in silenzio alle sofferenze umane. In un terreno paludoso come quello giapponese, però, non c’è posto per la cristianità e i due uomini saranno quindi costretti ad effettuare una scelta dolorosa: morire o vivere in silenzio per sempre.
La recensione di Taxi Drivers (Beatrice Bianchini)
Il romanzo di Shusaku Endo, un autore giapponese cristiano, dal quale è tratto Silence, è oggetto di analisi e dibattiti fin dalla sua prima uscita del 1966, in quanto descrive in modo estremamente efficace “il conflitto tra una professione di fede, la sua espressione e l’apparente silenzio di Dio mentre i credenti sono trascinati nella violenza in suo nome”. Martin Scorsese si è lasciato sedurre da questo scritto e ha messo al lavoro una squadra di ricercatori e tecnici che potessero realizzare il progetto di un’opera così ambiziosa. Tra torture, crocifissioni, intemperie e condizioni geografiche impervie, è riuscito a raccontare una storia di fede e religione, a rappresentare un saggio filmico esaminando il problema spirituale del silenzio di Dio di fronte alle sofferenze umane. Il tempo e lo spazio del film sono condizionati dal bisogno di mostrare e spiegare l’idea: un cinema, il suo, capace di riprodurre la complessità del pensiero nel rispetto della piena libertà espressiva, usando la macchina da presa come una penna, una sorta di letteratura cinematografica in grado di esprimere il pensiero in modo versatile ed efficace.
Un saggio filmico e, al tempo stesso, storico, politico e religioso, nel quale traspare senza esitazioni la visione del cineasta, soprattutto quando padre Sebastian si ostina a parlare di verità cristiana assurgendola al livello di una verità assoluta. Il filo conduttore del pensiero non procede in una singola direzione: la dialettica tra finzione e realtà lo rende un cinema di riflessione pura nella quale l’argomento si fa base di una costruzione intellettuale che genera la forma complessiva e persino la struttura del film, senza che questo venga snaturato e distorto. Una testimonianza sociale, un uso politico-religioso del medium che fa cogliere l’impegnativo desiderio di Scorsese di raggiungere un’audience incarnata, di comunicare direttamente con il pubblico, di coinvolgerlo nella creazione del significato filmico e di superare in tal modo le inevitabili ristrettezze di un dispositivo. Lo spettatore si sente interpellato perché il regista esce allo scoperto, ammette la propria parzialità e volontariamente mina la propria autorità assumendo un punto di vista contingente e personale. Una presa di coscienza politica autentica e nuova, un atto di fiducia per il mezzo espressivo e per l’interlocutore/fruitore.
Il tema filosofico del dubbio e del paradosso kierkegaardiano sono strettissimi nelle parole di Scorsese, che ritiene estremamente doloroso e paradossale credere e dubitare, concetti che sembrano antitetici ma che vanno di pari passo, nutrendosi l’un l’altro dalla certezza al dubbio, alla solitudine, alla comunione. Il mistero di Dio sta nel silenzio e nel paradosso dei suoi dettami, spesso in conflitto con l’etica, come ci ricorda Kierdegaard attraverso la figura di Abramo. “Credere in un solo Dio” può consentire la scelta dell’abiura se in gioco c’è la sopravvivenza di uomini condannati a torture e a morte? Il silenzio di Dio è forse lo spazio lasciato agli uomini per compiere la scelta: credere, nonostante tutto, o non credere. Come ci ricorda il filosofo danese Kierkegaard, la fede è assurdità, paradosso e scandalo e porta l’uomo al di là della ragione, al di là di ogni possibile comprensione. Ma la fede crede nonostante tutto quindi: Silence!