Nel segno di Camus. “La gentile indifferenza del mondo” è per l’appunto un’espressione malinconica ma al contempo appuntita, quasi feroce, che l’autore del film ha sottratto con grazia alle opere dello scrittore francese. Traslitterando così paturnie esistenzialiste negli orizzonti bassi dell’Asia centrale, pronti con il loro carico di rassegnazione e di agglomerati umani fatiscenti, fiaccati da brutalità e corruzione, a riprenderne il senso profondo. Ed affondando inesorabilmente nelle propaggini forse meno conosciute di un universo post-sovietico alla disperata ricerca di un’identità. In The Gentle Indifference of the World (Laskovoe bezrazlichie mira, in originale) si finisce quindi per respirare tanto l’aria della grande letteratura mondiale che la localistica, pregnante, ruvida essenza di paesaggi tanto magnetici quanto desolati.
Presentato in concorso al 30° Trieste Film Festival dopo essere passato per Cannes, Un Certain Regard, The Gentle Indifference of the World ci ha innanzitutto permesso di scoprire l’ennesimo talento proveniente dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, capace di coniugare nel suo cinema una forma cristallina e vicende umane di notevole spessore. Del forte retaggio letterario si è già detto. Il kazako Adilkhan Yerzhanov cita espressamente Camus e Stendhal, ma le questioni etiche sollevate dal suo approccio filmico, tendente tanto alla rarefazione dei segni che a una loro progressiva valorizzazione iconica e verbale, hanno in nuce la medesima robustezza morale dei romanzi di Dostoevskij. Il degrado sociale. La poetica degli ultimi. Delicate scelte individuali. Colpa (reale o presunta) e conseguente castigo. Un simile orizzonte degli eventi, in tutto e per tutto compatibile con le grandi opere letterarie del passato, risulta poi mirabilmente asciugato, a livello di sintassi filmica. Arrivando persino a ricordare certe pellicole di Kitano per quella asprezza diegetica costellata però di lirismo.
Fatto sta che ci si affeziona rapidamente alla fin troppo delicata e ingenua Saltanat come pure al suo spasimante forzuto Kuandyk, dai nobili intenti destinati spesso a naufragare nel marciume circostante; tant’è che la loro simultanea perdita dell’innocenza, sottolineata anche dal beffardo destino cui vanno incontro alcuni personaggi secondari, potrebbe essere qui rievocata attraverso poche e significative inquadrature, la cui risonanza emotiva ricorda una manciata di petali di rosa laddove pioveranno anche disgrazie e proiettili.