L’idea di Adele Tulli è di quelle facili da pensare ma difficili da realizzare, trattando della materia invisibile dell’essere umano, di norma cancellata dall’evidenza dell’aspetto fisico e dell’appartenenza sessuale, dall’età anagrafica, così come dai ruoli sociali e lavorativi. Una disparità che non avrebbe motivo di esistere e che, invece, nella supremazia delle caratteristiche appena elencate diventa il motivo discriminante, quello in grado di separare le persone, mettendole le une contro le altre. In questo senso, nell’ora e mezzo della sua visione Normal si ripromette di capovolgere la situazione svelandoci come tali differenze siano destinate ad annullarsi nella coincidenza di desideri, passioni e sentimenti di cui, per l’appunto, ognuno di noi è dotato in egual misura.
Descritta in questa maniera, la premessa potrebbe far pensare di trovarsi di fronte a un film retorico e ancor di più didascalico, per le innumerevoli volte in cui i suoi contenuti ci sono stati ripetuti e somministrati in pubblico e nel privato. Niente di tutto ciò, invece, poiché la scommessa della Tulli è quella di trasformare le parole in fatti, la visione in esperienza, mettendoci nella condizione di partecipare in prima persona e poi collettivamente, insieme al resto degli spettatori presenti in sala, alle emozioni che costituiscono i diversi quadri di cui consta la struttura del film. Da questo punto di vista, il tenore della sequenza subacquea di apertura, con le gambe delle donne incinte colte nel pieno dell’esercizio fisico, è indicativa del seguito, in cui il montaggio creativo utilizzato nel mettere in scene i singoli quadri, la particolarità del suono, impiegato sia in chiave evocativa che straniante (in sostituzione per esempio di quello reale), uniti alla purezza di sguardo con cui l’autrice guarda in faccia i suoi personaggi – uomini, donne, bambini, coppie sposate o in procinto di farlo – producono un effetto ipnotico a cui lo spettatore prende parte senza (pre)giudizio, né morale, che non sia quello di sentirsi uguale ai protagonisti dello schermo, come per miracolo attraversati e mossi dai medesimo intento e dalla stessa voglia di essere felici. Presentato nella sezione Panorama del 69esimo Festival di Berlino, Normal guarda all’opera di D’Anolfi e Parenti per conquistarsi uno spazio di autonomia nella manifestazione di un umanesimo capace di restituire dignità e fascino alla condizione umana.