Rain Man – L’uomo della pioggia, un film del 1988, diretto da Barry Levinson ed interpretato da Tom Cruise e Dustin Hoffman, vincitore dell’Orso d’oro al Festival internazionale del cinema di Berlino nel 1989. Il film si è anche aggiudicato quattro Premi Oscar: miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura originale. In origine il film doveva essere diretto da Steven Spielberg, ma il regista dovette rinunciare perché impegnato col progetto di Indiana Jones e l’ultima crociata. Anche Martin Brest e Sydney Pollack erano stati presi in seria considerazione per il film, ma la scelta ricadde poi su Barry Levinson. Anche per i ruoli dei due attori protagonisti vennero presi in considerazione vari attori. Inizialmente infatti si pensava a Bill Murray nelle vesti di Raymond e Dustin Hoffman nelle vesti di Charlie Babbitt. Quest’ultimo, dopo aver conosciuto la realtà delle persone affette da autismo frequentando un Istituto specializzato, optò per interpretare la parte di Raymond. Così la scelta di Charlie ricadde sul giovane Tom Cruise, reduce dal successo di Top Gun. Il regista Barry Levinson compare in un cameo, verso la fine della pellicola, nei panni di un medico fiscale.
Sinossi
Charlie, commerciante di auto di lusso ma indebitato fino al collo, scopre che l’eredità paterna è stata assegnata a un fratello di cui non ha mai avuto notizia: ha vent’anni più di lui e vive in una clinica, affetto da autismo. Charlie lo porta via per diventarne il tutore, in realtà per spendere i suoi soldi, ma Charlie va con lui a Las Vegas e sbanca il casinò, ma viene presto cacciato. Il rapporto tra i due che, presto, si trasforma in solidarietà. Da questa esperienza Charlie rimane profondamente cambiato.
Vincitore di 4 premi Oscar Rain man riesce a portare sul grande schermo una tematica difficile, poco trattata e nota al pubblico, l’autismo. Grazie a una fantastica interpretazione di Dustin Hoffman, la pellicola delinea i tratti del disturbo mostrando il piccolo mondo di Raymond vincolato nella sua routine, nei suoi rituali, i suoi programmi televisivi, le sue figurine dei giocatori di baseball, i suoi libri. È interessante l’empatia che si crea tra lo spettatore e la malattia: il pubblico è coinvolto osservando dagli occhi del protagonista, di chi vive a contatto con una persona autistica incapace di capire i comportamenti e di abbattere le barriere che lo separano dalla realtà. Ne emergono le difficoltà comunicative, di relazione con la società e con il sistema basato su concetti quali il denaro. Tuttavia Raymond spicca per le sue straordinarie capacità intellettuali: è in grado di tenere a mente un’infinità di informazioni e di moltiplicare numeri stratosferici. Il viaggio che affronta lo costringe ad allontanarsi dalle sue abitudini, unica protezione per il suo fragile equilibrio mentale secondo i pareri medici, che lo porta ad affrontare l’affetto di un fratello, di una donna, di situazioni a lui fino ad allora estranee e per questo terribilmente spaventose. Risulta significativo il modo di reagire a tutte queste nuove esperienze, comportamenti inaspettati che talvolta sfociano in vere e proprie crisi. Il film funziona, avvicina lo spettatore alla tematica dell’autismo con efficacia attraverso una fusione di punti di vista differenti, lo sguardo oggettivo dei medici e quello soggettivo di un parente.