Tratto dal romanzo omonimo di Roberto Saviano, il film è un esempio di cinema civile ripensato e concettualmente reimpostato secondo stilemi contemporanei
La tradizione dei film sulle mafie nella nostra cinematografia nazionale viene da lontano. Partendo arbitrariamente dal secondo dopoguerra, il primo eclatante esempio sono le opere fondamentali di Francesco Rosi, Salvatore Giuliano (che vinse l’Orso d’argento per la miglior regia al Festival di Berlino del 1962) e Mani sulla città (Leone d’oro l’anno dopo alla Mostra di Venezia), che ebbero grande risonanza critica (meno di pubblico, ma destino di molti capolavori compresi appieno a posteriori), film che rappresentavano una realtà italiana di cui si sapeva ma non si voleva parlare. Negli anni seguenti, i film sulle mafie (usiamo il plurale includendo tutta la malavita organizzata che alligna nel tessuto economico-sociale italiano) si sono moltiplicati, divenendo quasi un sottogenere, a volte mettendo in evidenza la spettacolarità di alcuni avvenimenti drammaturgici, altre edulcorando i protagonisti, che da carnefici si trasformavano in eroi complessi e pieni di sfumature.
La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, (in concorso al 69 Festival di Berlino) ha queste profonde radici nel suo essere opera contemporanea. Tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, mette in scena la nascita di un piccolo boss che con i suoi amici organizza un gruppo di fuoco (una paranza, appunto) per la camorra che scorrazza nei quartieri di Napoli in una guerra continua per il territorio. È chiaro che la prima, superficiale, assonanza la si possa vedere con Gomorra di Matteo Garrone, ma questa si ferma alla fonte primaria comune (i libri di Saviano) e alla partecipazione dello scrittore alla stesura della sceneggiatura che, evidentemente, producono la stessa materia su cui far crescere l’opera cinematografica.
La paranza dei bambini di Giovannesi: Affermazione sociale
L’occhio di Giovannesi si focalizza su Nicola e compari, pedinandoli nella loro quotidiana ricerca di affermazione sociale e imposizione con la forza del proprio esistere senza alcuno scrupolo di usare le armi e arrivare a uccidere. Però, un più profondo richiamo Giovannesi lo riceve dal cinema postmoderno americano (pensiamo a un Brian De Palma, ad esempio) tradotto in una ricerca formale che rasenta la perfezione. Il regista italiano è uno dei pochi che sa come utilizzare la macchina da presa: piani sequenza, carrellate, totali in cui si muovono sulla scena più personaggi in interni claustrofobici, inseguimenti in motorino per i vicoli di Napoli. Certo, un grande lavoro lo si deve al direttore della fotografia, quel Daniele Ciprì che è diventato una certezza sulla qualità dei film, ma l’occhio, il punto di vista e il progetto della messa in scena sono totalmente in capo a Giovannesi.
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Così la storia di questo gruppo di adolescenti mostra come il crimine sia incistato culturalmente e che la violenza – e il suo esercizio – sia respirata fin dalla prima infanzia. La paranza dei bambini è sostanzialmente un romanzo di formazione senza la descrizione dell’evoluzione psicologica del protagonista: dalla prima inquadratura al primo omicidio, fino alla morte del fratello minore, Nicola, praticamente, ha sempre la stessa espressione, le medesime reazioni. Quello che dimostra è la totale assenza di scarti emozionali, proprio a confermare l’assuefazione agli atti criminosi. Il codice emotivo di questo gruppo di ragazzini è il sopruso, l’eliminazione fisica dell’ostacolo, essi sono perché uccidono non perché vivono. Sono sostanzialmente degli zombi in continuo movimento perché fermarsi vuol dire non essere.
Esempio di Cinema civile
Il rischio di una messa in scena di questo genere era rimanere sulla superficie degli eventi (e in effetti la macchina da presa si allarga poche volte) con l’ambiente che rimane un fondale su cui si muovono i personaggi. Giovannesi, al contrario, compensa il contenuto della storia con la perfezione della forma, rendendo immersivo il movimento dei protagonisti all’interno di un ambiente che si mostra attraverso i comportamenti e non in quanto tale. Questo equilibrio tra i due elementi crea una forza drammaturgica tramite le immagini, che altrimenti si sarebbe appiattita se ci si fosse limitati a una narrazione in stile documentaristico. La paranza dei bambini si dimostra esempio di cinema civile ripensato e concettualmente reimpostato secondo stilemi contemporanei.
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