La Germania degli anni Settanta è il tema scelto dal regista di origine turca Fatih Akin per The Golden Glove, presentato in concorso al 69 Festival di Berlino. Akin sceglie un personaggio particolare: Fritz Honka, giovane tedesco alcolizzato, violento, con la faccia deformata, famoso serial killer di anziane prostitute che agganciava al Golden Glove, locale di Amburgo pieno di vecchi bevitori e sbandati. L’incipit del film rappresenta in modo emblematico l’intero stile utilizzato: un corpo di una donna è riverso su un lettino sudicio, ripreso di spalle attraverso la soglia. In scena entra un uomo che cerca di infilarla in un sacco della spazzatura. Da questa prima scena, in cui l’unico sonoro è composto dai grugniti e i versi animaleschi dell’uomo, ha inizio un ininterrotto percorso composto da degradazione morale e fisica. Akin si premura di mostrare gli umori corporei, il sangue, la sporcizia penetrata dappertutto, in una rappresentazione di un ambiente dove gli istinti bestiali e autodistruttivi sono alla base di ogni spinta dei personaggi e del protagonista, Honka. L’uomo fa a pezzi le proprie vittime e le nasconde all’interno dei muri della mansarda che abita in un palazzo del quartiere di San Pauli, in un’ordalia del cattivo gusto che Akin vorrebbe trasformare in cifra stilistica senza riuscirvi.
Il registro utilizzato è quello del grottesco, al limite del surreale, con una fotografia dai colori saturi e dai toni pastello. Akin, però, restando sempre e solo su Honka compie una scelta restrittiva nella messa in scena e si scontra con le ripetizioni delle situazioni. Ci sono, poi, dei buchi di sceneggiatura (come mai nessuno si chiede delle donne scomparse?), oppure personaggi che sono inseriti in modo pretestuoso e poi non sviluppati appieno (la studentessa che Honka santifica nei suoi sogni malati e il compagno di scuola sprovveduto della ragazza che cade nella trappola delle umiliazioni in un mondo che fraintende).
Se The Golden Glove voleva essere un’analisi psicologica di un uomo disturbato, risulta, al contrario, una raffigurazione superficiale che non ne indaga in profondità le radici delle azioni, accontentandosi di mostrare il lato più facile, quello della depravazione. Se, invece, voleva essere una denuncia della società tedesca occidentale nel pieno della sua espansione economica, della sua amoralità e rozzezza, ecco che allora la figura di Honka diventa ingombrante e Akin non allarga mai lo sguardo, limitandosi a filmare dei freaks in interni sporchi e claustrofobici. Lontano dalla geometrica precisione di Oltre la notte, con The Golden Glove Fatih Akin compie un passo falso con un’opera che risulta implodere sul suo protagonista e che appare più uno sberleffo anziché un’analisi di una società e di un periodo storico.